Marco Macina, il Messi di San Marino frenato dalla sfortuna

Roberto Mancini, suo compagno di squadra a fine anni ’70, in un’intervista non ha avuto dubbi: “Macina? Un fenomeno. Aveva le potenzialità di Messi”

Marco Macina, ex ala di Bologna e Milan, oggi lavora presso l’Ufficio del Turismo di San Marino, Stato in cui è nato nel 1964. Roberto Mancini, suo compagno di squadra nelle giovanili degli emiliani di fine anni ’70, in una recente intervista non ha avuto dubbi: “Macina? Un fenomeno. Aveva le potenzialità di Messi”. Potenzialità che le sliding doors, le porte scorrevoli della vita, hanno deciso di soffocare: all’inizio, impedendogli di acquistare un biglietto di prima classe del treno su cui stava salendo; poi, facendolo approdare al Milan nel momento sbagliato, nonostante la stima di Liedholm che lo richiese espressamente. Poi la B e la C, gli infortuni – zavorre che ti tarpano le ali – la scelta di restar fermo per diventare detentore del proprio cartellino, in tempi in cui Jean Marc Bosman non aveva ancora dato il proprio nome alla storica sentenza. Bosman, già, anche lui classe ‘64: come Macina, colui che con il pallone ha avuto la confidenza dei grandissimi, ma non la loro fortuna.
macina3Signor Macina, qual era la sua caratteristica tecnica migliore?
Il dribbling, il saltare l’uomo. Ero un calciatore veloce, ambidestro, potevo giocare su entrambe le fasce.

Come avvenne il passaggio dal Tre Penne, squadra di San Marino, al Bologna (con cui esordì in A in Juventus-Bologna 2-0 del 22 novembre 1981)? Quanti anni aveva?
Non ne avevo ancora compiuti 14. Feci un provino e presero sia me che Roberto Mancini.

Nelle giovanili lei e l’attuale tecnico dell’Inter giocavate insieme?
Il ruolo era diverso: io più attaccante, lui più mezzapunta. Giocavamo insieme sia nel Bologna che nelle nazionali giovanili.

È vero che non solo secondo lei, ma anche a detta degli osservatori, era più forte Macina dell’ ex capitano della Samp?
Le caratteristiche erano diverse, ma lo dice lui stesso che ero più forte io. Ho sentito l’ultima intervista che ha fatto a Gazzetta Tv: ha detto che ero un fenomeno e che avevo le potenzialità di Messi.

Nei primi anni ’80 giocò e vinse il Campionato Europeo con l’Under 16 italiana (la nazionale di San Marino farà l’esordio ufficiale solo nel ‘90): ricorda qualche compagno di quella avventura?
Furono gli anni migliori: sei giovane, non ci sono discorsi economici, si parla solo del piacere di giocare. Era una Nazionale molto forte: oltre a me c’erano Mancini, Giannini, Baldieri, Ivano Bonetti, Bortolazzi… Una squadra super, tra le più forti a livello giovanile.

Dopo Bologna lei gioca in B, ad Arezzo e Parma: come visse quelle due stagioni tra i Cadetti?
In Toscana mi operai al naso e giocai poco. A Parma sono tutti ricordi piacevoli; avevo fatto bene e a novembre (1984, ndr) mi comprò il Milan, che aveva gli attaccanti infortunati: non potei però andare via per l’impossibilità di fare due trasferimenti nella stessa stagione (era già passato in comproprietà al Parma, ndr) e approdai così a Milanello l’anno dopo, nel 1985.

Dove la aspettavano Nils Liedholm e il presidente Giussy Farina (esordio in Milan-Como 1-0 del 13 ottobre 1985 ).
Liedholm stravedeva per me. La concorrenza era forte: c’erano attaccanti come Rossi, Hateley e Virdis. Fossi andato l’anno prima, probabilmente avrei giocato di più, visti gli infortuni delle punte.

C’è un insegnamento di Liedholm che le è rimasto?
Non per esser presuntuoso, ma ero un giocatore di talento, quindi facevo cose che avevo naturalmente nel repertorio. Più che a livello tattico, direi che mi ha insegnato più sotto il punto di vista umano.

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Nel 1986 Berlusconi diviene presidente rossonero: quali sono i suoi ricordi dell’ex Cavaliere?
Arrivò che era primavera inoltrata, io andai via a luglio. Ricordo solo il discorso di presentazione.

Siamo nel 1987; lei gioca con l’Ancona, ed eccola purtroppo alle prese con un grave infortunio al ginocchio: ci racconta cosa accadde?

Giocai le prime quattro gare di campionato: poi, a Ospitaletto (Ospitaletto-Ancona 0-0, 11 ottobre 1987, ndr), subii un’entrata sul ginocchio sinistro. Sembrava solo una distorsione, non si era gonfiato: riuscivo a correre dritto – non a fare i cambi di direzione – quindi continuai ad allenarmi. A dicembre feci un’artroscopia: rottura del legamento collaterale, il responso. Fui operato, persi tutta la stagione. Anche qui, come con le tempistiche del mio trasferimento al Milan, ci fu una situazione particolare: se il ginocchio avesse dato subito problemi, e mi fossi operato immediatamente, non avrei perso tre mesi.

Dopo l’intervento, lei fa una scelta coraggiosa: punta a svincolarsi.
Nel 1988 scade il mio contratto con il Milan, ma all’epoca, per essere proprietario del tuo cartellino, dovevano passare due anni dal termine dello stesso. Ci fu la possibilità di andare a giocare a Rimini; feci un provino con il Lucca; anche a livello economico però, erano opportunità inferiori rispetto ad Ancona. Rimasi quindi fermo un anno: fosse arrivata una buona proposta avrei accettato ma, visto che non ci fu, mi dissi che stando fermo un’altra stagione sarei potuto tornare competitivo, con il mio cartellino in mano. Nel 1990, però, non ho avuto grandi possibilità: la mia ultima gara ufficiale è quindi quella contro l’Ospitaletto.

Perciò lei, da allora, ha giocato solo tre gare con la Nazionale di San Marino.
Si, ho fatto qualche partita con loro. Mi trovai bene, tenendo conto che erano le prime (San Marino fa il suo esordio internazionale contro la Svizzera nel 1990, ndr) e che da noi molti sono dilettanti.

Ha mai pensato di dare una mano alla Selezione del suo Paese, insegnando calcio alle squadre giovanili?
Non mi sono mai premunito del patentino da allenatore… Ma nella vita non si sa mai.

Da tanti anni viene utilizzata la cosiddetta “seconda voce tecnica” per commentare le partite di calcio: le piacerebbe intraprendere questa carriera?

Non è semplicissimo. Vedo che sono tutti ex calciatori che hanno appena finito di giocare. Mi piacerebbe, certo: esprimere il proprio parere è sempre una bella cosa.
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È rimasto in contatto con qualcuno del mondo del calcio?
Ultimamente ci siamo visti con compagni con cui giocavo nelle giovanili del Bologna. C’era anche Giancarlo Marocchi.

Conserva qualche maglia, anche di avversari, del suo periodo da professionista?

Devo avere qualche maglia delle nazionali giovanili. Le altre te le chiedevano, quindi le davi.

Di cosa si occupa oggi?
Dal 2000 lavoro all’Ufficio del Turismo di San Marino. Negli anni ‘90 ho sempre valutato la possibilità di rientrare nel mondo del calcio.

Quali colpe pensa di aver avuto nel non esser riuscito a costruirsi una carriera ad altissimi livelli?

Parlare di colpe è difficile: ha pesato l’assenza di fortuna nei momenti importanti. Io in realtà, da ragazzino, dovevo andare all’Inter, non al Bologna. Un signore di San Marino, padre di un mio compagno e tifoso nerazzurro, scrisse a Mazzola: “Venite a vedere, qui c’è un fuoriclasse”. Fui convocato dall’Inter per un provino ma non potei andare, a causa di un’infezione. Quello era l’ultimo raduno che facevano quell’anno, così andai a Bologna. Mi avessero preso i nerazzurri, sarebbe cambiata la mia vita: non perché i rossoblù non fossero all’altezza, ma l’Inter è un’altra cosa. Avevo un grande talento; nei momenti clou, però, non sono stato supportato dalla fortuna: se non hai quella, non vai da nessuna parte.

Intervista a cura di Diego Angelino

FONTE: http://www.sportlive.it/interviste/eroi-per-un-giorno-marco-macina.html