«Il successo è un pallone con quattro spicchi. Uno appartiene ai giocatori, uno alla società, uno all’ambiente, cioè stampa e tifosi. Il quarto spetta all’allenatore». Parola di Giovanni Trapattoni, uno dei primi tecnici italiani a imporsi con successo oltreconfine. Per il vate di Cusano Milanino, allenare all’estero è diventata una filosofia di vita. L’esatto contrario di tanti suoi colleghi, timorosi di avventurarsi al di là delle rassicuranti mura di casa propria, per le tante difficoltà che ne derivano.
La scarsa confidenza dei tecnici italiani nei confronti dell’estero è dovuta storicamente a due ragioni principali: l’incapacità di parlare altre lingue e la difficoltà di adattamento a diverse culture calcistiche. Due fattori che rendono particolarmente impervio il sentiero che tutti i tecnici, non solo italiani, devono percorrere per lavorare -e vincere- anche al di fuori dei propri confini nazionali.
Beffardo, il destino degli allenatori. Già lo sosteneva, in tempi non sospetti, il grande Vujadin Boskov: «Nel calcio c’è una legge contro gli allenatori: giocatori vincono, allenatori perdono». Aveva ragione, nonno Vuja, tra i protagonisti di una generazione di mister che, come sospinti da una torre di Babele, esportavano il loro credo al di fuori del Paese di origine, facilitati magari da qualche esperienza avuta all’estero da calciatori.
Da sempre, l’Italia è stata terra di immigrazione di allenatori, più che di emigrazione.
Infatti, il calcio italiano ha avuto maestri di varia provenienza, secondo la legge breriana delle tre scuole calcistiche dominanti: Austria-Ungheria, Sudamerica e Inghilterra. Basti pensare che in Italia, il primo mister nel vero senso della parola è stato Arpad Weisz, un ebreo ungherese che vinse tre scudetti negli anni Trenta con Ambrosiana-Inter e Bologna, prima di finire tragicamente la sua vita in un campo di concentramento.
Fino a qualche anno fa, la “bilancia commerciale” italiana degli allenatori aveva un valore fortemente negativo. Le nostre “esportazioni” hanno cominciato a crescere negli anni Novanta, quando due tecnici del calibro di Giovanni Trapattoni e Nevio Scala, sfidando l’innato provincialismo che ci caratterizza e attratti da nuove sfide, hanno messo in valigia le loro idee tecnico-tattiche e sono fuggiti via da un calcio italiano, nel quale non si riconoscevano più.
Da allora sono passati quasi vent’anni. Nello spazio di una generazione, tante cose sono cambiate, dato che il fenomeno degli allenatori italiani all’estero è diventato una costante del calcio contemporaneo. Lo dimostrano non solo i vari Mancini, Spalletti, Capello e Ancelotti, ma anche tanti altri tecnici dal nome meno altisonante, ma ugualmente desiderosi di arricchire il proprio curriculum con nuove esperienze professionali.
È il caso di Marco Ragini, allenatore sammarinese, balzato agli onori delle cronache per avere allenato, nella seconda metà del 2014, il Dainava Alytus, squadra della serie A lituana che al momento del suo ingaggio, era ferma a 0 punti dopo le prime 15 giornate di campionato.
“Adoro le sfide e soprattutto le esperienze nuove, specie in altri Stati, dove anche se il gioco del calcio ha le stesse regole, ci sono caratteristiche diverse, dal punto di vista dei costumi, delle tradizioni e così via. La novità mi affascina”.
Con queste parole, Ragini ha sintetizzato il suo stile di vita, contraddistinto da alcune esperienze fuori dall’Italia, che lo rendono un personaggio unico nel suo genere. Infatti, dando un’occhiata al suo curriculum professionale, visionabile sul suo sito ufficiale http://www.marcoragini.com/it/, saltano subito all’occhio le due esperienze che ha avuto tra il 2007 e il 2011 in Svizzera, prima al Chiasso e poi al Bellinzona.
Non da allenatore della prima squadra, però, dato che Ragini nasce come preparatore dei portieri e tecnico in seconda, con qualche gettone come primo allenatore al Bellinzona nella serie A elvetica. Il grande salto tra il 2011 e il 2012, col conseguimento del doppio patentino da allenatore Uefa A e Uefa Pro, prima di diventare, nel luglio 2014, il nuovo tecnico del Dainava Alytus.
Proprio a Bellinzona, graziosa cittadina del Canton Ticino con un centro storico simile a quello di San Marino, Ragini ha ottenuto grandi soddisfazioni. Da preparatore dei portieri della squadra granata, il tecnico sammarinese ha raggiunto nella stagione 2007/2008 la promozione nella massima serie elvetica, oltre a una finale di Coppa svizzera giocata niente meno che contro il Basilea. Quell’anno, come racconta lui stesso nella bella intervista che segue firmata da Elia Gorini, Ragini ha avuto un ruolo fondamentale nel dare fiducia a un portiere, Lorenzo Bucchi, le cui prodezze si sono rivelate decisive per la promozione dalla Challenge alla Super League (la nostra serie A), e non solo.
Ora che la stagione calcistica del Dainava è finita, con un soddisfacente risultato sportivo sublimato da alcuni successi che hanno schiodato dallo zero la casella delle vittorie, è possibile stilare un bilancio della prima vera esperienza da allenatore di Marco Ragini.
E per farlo, chi meglio del diretto interessato può raccontare come sono andati i suoi primi sei mesi da allenatore? Il tutto preceduto da qualche doverosa domanda sulla sua pregressa esperienza da calciatore e sul suo modo di concepire il calcio.
Mister, nella sua biografia parla poco della sua esperienza da calciatore…
«Non è un caso. Il mio desiderio sin da ragazzino era più quello di diventare allenatore che giocatore. Sinceramente, avrei voluto giocare qualche anno in più, ma un serio infortunio a 20 anni ai legamenti crociati di un ginocchio, ha fatto si che mi trascinassi ancora per qualche anno, per poi fermarmi definitivamente».
e sue parole trasudano una passione sconfinata per questo mestiere. A questo proposito, qual è la sua filosofia di gioco?
«Il mio credo calcistico si basa su questo concetto fisso: riconquistare palla e imporre il mio gioco con personalità. Uno stile che va reso coerente con le caratteristiche tecniche, tattiche e fisiche dei miei giocatori. Bisogna difendere la palla sempre e senza paura, agire e mai reagire, attaccando senza pause l’avversario per non lasciargli l’iniziativa. Tutto è il risultato di un lavoro ad alta intensità e mentalità attiva, dove il ritmo veloce e costante mette in difficoltà l’avversario».
Riccione, Modena e la Nazionale di San Marino hanno rappresentato alcune tappe importanti della sua carriera. Ma la svolta è avvenuta nel 2008, con il suo trasferimento in Svizzera…
«Nel 2008 al Chiasso, in Challenge League (l’equivalente della nostra serie B, nda), dove sono stato sei mesi ricoprendo gli incarichi di assistente allenatore e tecnico dei portieri. Subito dopo mi sono trasferito al Bellinzona, dove sono rimasto fino al 2011 facendo l’allenatore in seconda e qualche volta il primo allenatore (come testimoniano queste belle immagini raccolte dal profilo di Ragini su youtube, nda)».
Roberto Bordi