Mattarella. Italia in prima linea contro Isis. Sulla Consulta stallo gravissimo

mattarellaPresidente Mattarella, lei sedeva in prima fila a San Pietro per l’apertura della Porta Santa. Quali pensieri ha fatto in quei momenti sulle ipotesi di attentati terroristici in Italia con l’inizio del Giubileo?
«In questo periodo, ormai da anni, il pericolo è, purtroppo, presente come abbiamo visto a Parigi e, prima ancora, a New York, a Londra, a Madrid, a Tunisi e in tanti altri luoghi di continenti diversi.

Tutti eventi tragici che hanno ricondotto alla nostra memoria Piazza Fontana o la Stazione di Bologna e che manifestano la non prevedibilità dei bersagli degli assalti omicidi del terrorismo. Una sala concerti o un bistrot non sono collegabili ad alcun significato religioso».«Non è possibile, peraltro, chiudersi in casa o rinunziare a vivere con pienezza: sarebbe anche un errore e un successo dei terroristi. Inoltre costoro, vedendo che riescono a condizionare i nostri comportamenti, potrebbero sentirsi indotti a moltiplicare gli attentati. Le nostre Forze di Polizia e i nostri servizi di intelligence stanno svolgendo un buon lavoro, serio e accurato, per garantire la sicurezza dei nostri concittadini e dei turisti e dei pellegrini che vengono in Italia. Dobbiamo aiutarli evitando che si creino tensioni o sacche di emarginazione che potrebbero aumentare i rischi».

In quanto comandante supremo delle Forze Armate, qual è la sua opinione sull’intervento militare anti Isis in corso in Siria e in Iraq?
«L’azione per sconfiggere Daesh, il cosiddetto Isis, va condotta su più piani. E’ importante quello culturale. Non dimentichiamo che il reclutamento, nelle città d’Europa, avviene mediante la predicazione, diretta e soprattutto via web: dobbiamo contrapporre a questa predicazione argomenti e indicazioni che facciano comprendere a giovani che ne sono destinatari quanto sia preferibile vivere nella tolleranza, nel rispetto degli altri, nella convivenza in pace. Naturalmente è necessaria un’azione di polizia che garantisca, in maniera efficace, prevenzione e repressione: di fronte alla gravità del pericolo occorre disporre di strumenti adeguati, e sia in Italia che nell’Unione Europea ne sono stati apprestati. Quel che andrebbe assicurato in misura molto maggiore è una piena collaborazione dei servizi di intelligence dei vari Paesi: la tentazione di tenere le informazioni per sé è tradizionalmente molto forte ma il vantaggio che ciascun paese otterrebbe dal conoscere le informazioni di tutti gli altri sul terrorismo sarebbe di gran lunga più conveniente ed efficace. Infine, ma non per ultima, è certamente necessaria una risposta militare per annullare le basi di leadership e organizzative del terrorismo. L’Italia lo sta facendo da tempo, in tanti teatri di operazione».

Il premier Renzi ha ripetutamente affermato che il nostro Paese non parteciperà direttamente ai raid: non c’è il rischio che l’Italia con questa posizione si autoemargini sulla scena internazionale?
«Non ne vedo le condizioni. Nelle due riunioni di quest’anno del Consiglio Supremo di Difesa abbiamo attentamente esaminato le situazioni di crisi e la linea espressa dal governo è pienamente in linea con quanto valutato in quella sede. Ma credo che sia utile ricordare alcuni dati di fatto. L’Italia è presente con quasi settecento militari in Iraq, secondo contingente dopo quello Usa, nel teatro anti Daesh: quattrocento sono dell’Aeronautica e fanno, da oltre un anno, con quattro tornado ricognitori e un aereo rifornitore, quel che la Germania, nei giorni scorsi, ha opportunamente deciso di iniziare a fare. Altri duecento militari sono impegnati a Erbil come addestratori di peshmerga curdi e ottanta addestrano forze di polizia irachene. Siamo, inoltre, presenti in Afghanistan, dove pure si fronteggiano fondamentalisti legati ad Al Qaeda, con ottocentocinquanta militari: anche qui il secondo contingente dopo quello USA. Siamo presenti in Libano, con oltre millecento militari che, sotto bandiera ONU e con comando italiano, contribuiscono, in prima fila, a evitare che un Paese amico come il Libano, che già subisce gravi sofferenze e tensioni, divenga come la Siria o l’Iraq. Siamo presenti in Kossovo, con comando affidato all’Italia, con settecento militari, per evitare che le tensioni che vi permangono possano riesplodere e si tratta di un Paese dove, come è noto, affiorano da tempo venature di fondamentalismo e da dove sono partiti numerosi combattenti di Daesh verso Siria e Iraq. Abbiamo un contingente di un centinaio di addestratori in Somalia per aiutare il governo di quel Paese, tradizionalmente legato all’Italia, a controllare il suo territorio in cui è presente un pericoloso movimento di terrorismo fondamentalista. La nostra Marina militare sta svolgendo un prezioso lavoro, apprezzato dalla comunità internazionale, nei mari del Corno d’Africa, nella missione contro la pirateria che, sotto comando italiano, sta debellando quel fenomeno che ha allarmato per anni. È appena il caso di ricordare quel che la Marina sta facendo nel Mediterraneo da alcuni anni per salvare vite e contrastare i trafficanti di esseri umani, che potrebbero verosimilmente avere collegamenti almeno in parte a movimenti terroristici. Tutto si può dire tranne che l’Italia sia chiusa in se stessa, che non collabori o che si emargini: va detto, piuttosto, con soddisfazione, che alcuni Paesi hanno opportunamente deciso, oggi, di intensificare o addirittura di avviare la loro azione. Ma l’Italia lo fa, con grande sforzo, da anni: non è un caso che ben quattro missioni internazionali siano sotto comando italiano».

Il Messaggero