In un Medio Oriente già segnato da conflitti e tensioni, un nuovo spettro si staglia all’orizzonte: un possibile attacco israeliano ai siti nucleari iraniani, che potrebbe trascinare la regione in un vortice di instabilità senza precedenti. Le ultime indiscrezioni, riportate da fonti autorevoli come NBC News, The New York Times e The Washington Post, dipingono uno scenario inquietante: Israele starebbe preparando un’azione militare unilaterale contro l’Iran, senza il sostegno degli Stati Uniti, con il rischio di accendere una miccia che potrebbe coinvolgere l’intera regione.
La tensione è palpabile. Secondo NBC News, funzionari israeliani, frustrati dallo stallo nei negoziati sul programma nucleare iraniano, avrebbero intensificato i preparativi per un attacco che potrebbe colpire impianti strategici di Teheran nei prossimi giorni. Le informazioni di intelligence, come riportato da The New York Times, indicano che Israele considera questo momento una “finestra di vulnerabilità” per l’Iran, con il premier Benjamin Netanyahu deciso a sfruttare l’incertezza diplomatica. Tuttavia, l’assenza di un coordinamento con Washington, come sottolineato da The Washington Post, segna una frattura significativa tra due alleati storici. Gli Stati Uniti, sotto la guida del presidente Donald Trump, stanno spingendo per una soluzione diplomatica, ma le recenti evacuazioni di personale non essenziale da Iraq, Bahrein e Kuwait testimoniano la paura di ritorsioni iraniane.
L’Iran, dal canto suo, non resta a guardare. Il Times of Israel riferisce che Teheran ha già pianificato una controffensiva, potenzialmente simile all’attacco missilistico dell’ottobre 2024, quando 200 missili balistici furono lanciati contro Israele, causando danni limitati grazie alle difese aeree. La Guida Suprema Ali Khamenei ha ribadito, secondo fonti iraniane, il diritto di Teheran ad arricchire l’uranio, mentre il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha minacciato di spostare materiali nucleari in luoghi segreti, come riportato da L’Opinione, se le “minacce sioniste” persisteranno. Questa posizione rigida, unita alla crescente scorta di uranio arricchito al 60% – vicina al livello necessario per un’arma nucleare, secondo il direttore dell’AIEA Rafael Grossi – alimenta le preoccupazioni di Israele.
Nel frattempo, la regione trema. Newsweek ha riportato un avvertimento dei ribelli Houthi dello Yemen, alleati dell’Iran, che hanno dichiarato che un attacco israeliano trascinerebbe il Medio Oriente “nell’abisso della guerra”. Questo timore è condiviso da leader regionali come quelli di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, che, secondo Rainews, hanno esortato Trump a evitare un’escalation militare, preferendo una via diplomatica. Tuttavia, la fiducia in un accordo sembra svanire: i negoziati mediati dall’Oman, iniziati ad aprile e proseguiti a Roma, non hanno prodotto risultati concreti, e la posizione iraniana sull’arricchimento dell’uranio rimane non negoziabile.
Le implicazioni di un attacco sono enormi. Un raid israeliano, come suggerito da CNN e altre fonti, potrebbe non distruggere completamente il programma nucleare iraniano, ma infliggerebbe un duro colpo, ritardandolo di almeno un anno. Tuttavia, senza il supporto statunitense – essenziale per operazioni complesse come il rifornimento in volo o l’uso di bombe bunker-buster – il successo dell’operazione è incerto. Inoltre, un’azione del genere rischierebbe di innescare una rappresaglia iraniana contro basi USA nella regione, come paventato da funzionari americani, e potrebbe destabilizzare i mercati petroliferi, come evidenziato da Il Sole 24 Ore, con prezzi già in aumento dell’1% alla sola notizia dei preparativi.
Sul fronte interno, Netanyahu si trova sotto pressione. La Knesset, secondo Il Sole 24 Ore, ha recentemente salvato il suo governo da una crisi politica, ma la decisione di agire contro l’Iran potrebbe essere un azzardo per consolidare il consenso interno, nonostante il rischio di alienare alleati chiave come gli Stati Uniti. Trump, che in passato ha bloccato un attacco israeliano pianificato per maggio, come rivelato da Il Fatto Quotidiano, insiste sul dialogo, definendo l’opzione militare una “seconda scelta”. Tuttavia, le divergenze tra i due leader sono evidenti: Israele, secondo Axios, ritiene che la finestra per un attacco efficace si stia chiudendo rapidamente.
Mentre il mondo osserva con il fiato sospeso, la regione si prepara a un possibile punto di non ritorno. Un attacco israeliano potrebbe non solo ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente, ma anche testare la solidità dell’alleanza tra Washington e Tel Aviv. In questo gioco ad alta tensione, ogni mossa è carica di conseguenze, e il rischio di un errore di calcolo è più alto che mai. Come dichiarato da un funzionario anonimo citato da Ynetnews, “la situazione è più seria che in qualsiasi altro momento del passato”. La domanda ora è: basterà la diplomazia a scongiurare il disastro, o siamo alla vigilia di un conflitto che cambierà il volto della regione?