Medvedev risponde a Trump: “L’unica cosa davvero brutta è la Terza Guerra Mondiale”

Il confronto tra Stati Uniti e Russia continua a infiammare le cronache ed a rilanciare il dibattito, nelle ultime ore, è stato Dmitri Medvedev, ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione, con una frase tanto dura quanto inquietante:

“L’unica cosa davvero brutta è la Terza Guerra Mondiale.”

Una dichiarazione che arriva come risposta diretta all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale aveva recentemente affermato che Putin “sta giocando col fuoco” e che, se non fosse stato per lui, “alla Russia sarebbero già successe cose davvero brutte”. Un linguaggio muscolare, come spesso accade con Trump, che ha voluto rivendicare il suo ruolo nel tenere a bada le ambizioni del Cremlino durante il proprio mandato.

Medvedev, però, non ci sta. E sul social X (ex Twitter) risponde con toni che richiamano scenari apocalittici. Non cita direttamente armi nucleari o escalation militari, ma la sua allusione a un possibile conflitto globale è fin troppo chiara. Dietro le parole, lancia un avvertimento: spingersi troppo oltre nella retorica di minaccia potrebbe trasformare le tensioni in qualcosa di molto più pericoloso.

Da parte sua, Trump continua a proporsi come l’uomo in grado di evitare le guerre. Durante i comizi della sua campagna elettorale per le presidenziali del 2024, ha più volte sostenuto che se fosse stato ancora presidente, la guerra in Ucraina non sarebbe mai iniziata. La sua linea è semplice: la forza del deterrente personale, l’arte del negoziato diretto, senza intermediari né lungaggini diplomatiche.

Ma non tutti sono d’accordo. Molti analisti ritengono che il suo approccio unilaterale e poco trasparente abbia solo congelato situazioni critiche, piuttosto che risolverle. E che, in realtà, la Russia abbia approfittato di quei “tempi sospesi” per rafforzare la propria posizione sullo scacchiere internazionale.

Negli ultimi anni, Dmitri Medvedev ha abbandonato il profilo più moderato che lo aveva caratterizzato nei primi anni del suo mandato presidenziale. Oggi appare come uno dei più feroci sostenitori della linea dura russa, spesso impiegato per lanciare messaggi al mondo occidentale che Vladimir Putin preferisce non pronunciare direttamente.

Non è raro che sia lui a evocare scenari bellici, a minacciare l’uso dell’arsenale nucleare, o a descrivere l’Occidente come un nemico esistenziale per la Russia. La sua dichiarazione recente, tuttavia, sembra anche contenere un’amara verità: nel momento in cui la diplomazia viene sostituita dalla provocazione, lo spettro di una guerra mondiale non è più un’esagerazione giornalistica, ma una possibilità che inizia a farsi strada.

Il botta e risposta tra Medvedev e Trump non è solo uno scontro tra personalità. È il riflesso di un mondo sempre più polarizzato e instabile, dove le parole — soprattutto quelle dei leader — contano. Contano nel preparare l’opinione pubblica, nel lanciare segnali agli alleati, ma anche nel tracciare linee rosse.

Che si parli di Ucraina, di NATO, di Taiwan o del Medio Oriente, la possibilità che un conflitto regionale possa degenerare in una guerra globale non è più un tabù. Ed è forse per questo che le parole di Medvedev, per quanto minacciose, ci costringono a riflettere: stiamo davvero facendo tutto il possibile per evitare l’irreparabile?

In un momento storico così delicato, la responsabilità della parola dovrebbe tornare al centro del discorso politico. Perché, come ricorda proprio Medvedev — pur con intenti discutibili — l’unica cosa davvero brutta, alla fine, è quella che non potremmo più raccontare.