
Il primo discorso da leader “certificata” del centrodestra, ma soprattutto il primo da premier in pectore. Giorgia Meloni sarà la prima inquilina di Palazzo Chigi della storia della Repubblica italiana. Il suo intervento è stato un concentrato di emozioni e suggestioni, ma anche di prime indicazioni sul prossimo futuro. “La leader di Fdi ha mostrato il suo lato dolce, ma è la guerriera che raccoglie le forze perché sa che ora viene la vera battaglia”, spiega Guerino Nuccio Bovalino, sociologo e ricercatore del Centre d’Études sur l’Actuel et le Quotidien di Parigi, con cui abbiamo letto tra le righe di un discorso che passerà alla storia.
Quale “Giorgia” si è presentata al pubblico: la donna, la madre, la militante, la premier?
“È riuscita a incarnare tutti i ruoli: abbiamo visto la donna che si rivolge alla sua famiglia, ringraziando emozionata la figlia e il compagno per l’affetto e la comprensione, ma anche l’archetipo di colei che guidata dal suo istinto femminile vuole prendersi cura della comunità, che è la famiglia simbolica. Ha saputo indossare anche i panni della futura premier: il suo tono è cambiato nel momento in cui si è assunta la responsabilità di ricucire le lacerazioni di una Nazione da troppi anni abituata a uno scontro culturale e politico fratricida. L’Italia l’ha indicata come leader e lei ha già ben chiaro che non c’è tempo da perdere. È cosciente di dover ricostruire sulle “macerie”, già da oggi”.
Quale gli elementi chiave del suo intervento?
“L’orgoglio. Questo è stato l’elemento chiave. Orgoglio per la sua comunità, ma anche la volontà di restituire a tutti gli italiani l’orgoglio di essere italiani. Interessante, inoltre, l’aver rivendicato come vincente la decisione di parlare alle piazze anziché provare a contrastare la potenza di fuoco dall’apparato mediatico mainstream: è il contatto con il popolo quello che le ha consentito di smentire le narrazioni giornalistiche riuscendo a raccontare ciò che veramente ha in mente per l’Italia”.
Che stato d’animo hanno tradito le sue parole?
“È stato un discorso emotivo ma lucido, caratterizzato da una gestualità meno fissa e movimenti più spontanei. Solo nel momento in cui ha richiamato gli avversari alla responsabilità in nome dell’Italia è tornata la Giorgia più rigida e concentrata: la solita “secchiona”, come lei stessa si definisce”.
C’è qualcosa che l’ha stupita?
“La calma. Dinanzi alla rabbia e all’aggressività esibita dalla sinistra durante la campagna elettorale immagino la difficoltà di tenere bassi i toni, soprattutto nel momento della vittoria. Non ha ceduto alla tentazione di pronunciare parole inneggianti a rivalse o vane rivincite. Un ulteriore segno di maturità politica”.
Di questo discorso si ricorderanno anche i suoi occhi lucidi, in poche occasioni la leader ha abbassato lo “scudo”.
“Ha mostrato il suo lato più dolce, ma è la guerriera che raccoglie le forze per la vera battaglia: quella che dovrà compiere per risollevare l’Italia. Mi ha fatto pensare al momento in cui, nelle grandi narrazioni dell’immaginario letterario e cinematografico, l’eroe abbassa la guardia e cerca quiete nel calore dei suoi più intimi affetti. I suoi occhi lucidi la tradiscono nel momento in cui parla della figlia, del compagno, del suo staff e della comunità a cui appartiene: è il momento in cui pubblico e privato si mescolano mostrandosi come una unica grande famiglia”.
“Cominciate con il fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Nel pantheon della Meloni ci sono tanti riferimenti, per sugellare la vittoria però ha scelto San Francesco.
“Il richiamo a San Francesco è intimamente legato ad una visione esistenziale che è propria della comunità che la Meloni guida. Un “popolo” che non si è mai rassegnato all’idea che le proprie idee non dovessero avere diritto di cittadinanza solo perché invise alla sinistra. I progressisti da sempre utilizzano il proprio sistema collaudato di potere per svilire, infangare e deformare i riferimenti ideali della destra, una operazione resa possibile nei decenni da quel potente filtro che viene spesso chiamato in causa con il nome di egemonia culturale ma non è altro che un oleato e consolidato sistema di potere”.
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