
Il primo a scartare qualsiasi accelerazione sulla cosiddetta “ipotesi Draghi” è il diretto interessato. Mario Draghi è uomo avvezzo al potere, al comando e alla gestione di dossier scottanti e complessi e non parla lo stesso linguaggio compromissorio dell’attuale legislatura e del presente mondo politico italiano. Decisionista per sua natura, è sicuramente la figura italiana maggiormente in grado di farsi intendere come leader da personalità come Emmanuel Macron e Angela Merkel, ma nel contesto della “crisi” più incerta e assurda degli ultimi anni il passaggio del timone del governo da Giuseppe Conte a lui in caso di naufragio dell’esecutivo giallorosso non è affatto scontata.
Negli scorsi giorni avevamo provato a contestualizzare che cosa un avvicendamento tra Conte e Draghi significherebbe per il sistema politico nazionale: da un lato, senz’altro, una tregua tra i partiti sul nome dell’ex governatore della Banca centrale europea creerebbe forse uno spiraglio per una de-escalation di tensione di fronte ai grandi problemi della ripresa del Paese. Ma dall’altro, chiamando l’uomo associato al tecnocrate per eccellenza la politica italiana commissarierebbe sè stessa definitivamente e manderebbe un nuovo segnale di sfiducia al Paese sull’affidabilità della sua attuale classe dirigente dopo che a suo modo l’ascesa di Conte, capace di destreggiarsi per diverso tempo tra Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Matteo Renzi e Nicola Zingaretti, aveva già contribuito a segnalare ben più di una preoccupazione a riguardo.
In Europa, sottolinea Italia Oggi, ” francesi e tedeschi sono alla finestra, considerano Mario Draghi la carta con cui il capo dello Stato Sergio Mattarella potrebbe calmierare gli animi. Ma su Draghi non c’è ancora una maggioranza solida e forse mai ci sarà. Il Pd, a quanto si apprende, ha già fatto sapere a chi di dovere che di Draghi non se ne parla ed anche nei 5Stelle sono molti i contrari”. Non stentiamo a capire i motivi di tale opposizione. Pd e M5S, che in caso di ritorno alle urne nei prossimi anni dovranno necessariamente giocare sulla difensiva e non vogliono pagare elettoralmente il costo delle difficoltà del sistema Paese temono che la crescente marginalizzazione cui a lungo già “Giuseppi” li ha costretti sia ulteriormente amplificata in caso di chiamata di Draghi. E, al contempo, hanno paura dello stigma legato a una de-responsabilizzazione completa dai loro compiti di forza di maggioranza davanti agli interlocutori internazionali.
Quello che meno conviene a forze che sugli appigli internazionali vogliono far conto (Pd) o che, per mezzo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ne vogliono costruire di propri (M5S). E che vogliono far la parte del leone nell’utilizzo dei fondi del Recovery Plan e dei relativi dividendi politici. Con o senza Conte, non ha importanza, ma una figura come Draghi rafforzerebbe ulteriormente la centralizzazione su Palazzo Chigi del potere decisionale.
Inoltre, il fatto stesso che per mezzo di richiami da parte di suoi esponenti istituzionali, come Michele Anzaldi in una recente intervista a Formiche, tra le forze di maggioranza sia Italia Viva quella a voler dichiaratamente scaricare Conte per Draghi aumenta le perplessità di dem e pentastellati. Conte è indubbiamente isolato per i motivi che ben si sanno e anche il Quirinale non spenderà eccessive energie per difenderne la posizione, ma Sergio Mattarella sa anche che non permetterà alle forze politiche l’irresponsabilità di una crisi al buio. In quest’ottica Draghi viene evocato più che consultato, ritenuto l’unico possibile “pacificatore” ma anche lo spauracchio con cui chiamare Conte a quella leadership più collegiale che dopo la sbornia di visibilità legata all’emergenza sanitaria tanti gli chiedono.
Ormai Conte è visto con sospetto in ogni sua mossa autonoma. E come prevedibile l’intelligence è stato il campo in cui la contestazione alle sue manovre si è fatta più dura e compatta da parte dei partiti. Con, ça va sans dire, Italia Viva in testa al fronte dei critici dopo che Conte ha prospettato la nomina di un’autorità delegata ai servizi segreti di provenienza istituzionale (Consiglio di Stato) e non partitica, elemento che pur non presentando problematiche costituzionali ha scatenato una ridda di sospetti tra i partiti, timorosi di una possibile volontà di Conte di accentrarne ulteriormente il controllo. Col rischio, nota Italia Oggi, di scontentare tutti specie in un momento in cui il governo dovrà operare nomine importanti e “mettere mano alle nomine dei vicedirettori di Aise e Aisi, nonché alla nomina del comandante dell’Arma dei Carabinieri”.
Conte sconta un deficit di credibilità tra le forze che lo sostengono, ma al contempo nella raffazzonata squadra giallorossa non ha alternative all’altezza che possano sostituirlo.
Draghi sarebbe dunque, al tempo stesso, alibi e timore per le forze politiche. Alibi, perché in caso di caduta di Conte l’unica alternativa sarebbe un grande gioco di passaggio del cerino a cui si potrebbe sottrarre solo chi (Fratelli d’Italia) ha già indicato nel ritorno alle urne l’unica soluzione e che rischierebbe di creare una maggioranza chiamata a ereditare i fallimenti politici ed economici giallorossi o, ancora peggio, a governare sulle macerie. Timore, perchè imporrebbe a tutti gli attori in campo di scoprire le carte dei loro progetti e di metterli in secondo piano rispetto all’ingombrante figura del banchiere romano, che sulla scia dello “schema Ciampi” avrebbe una stanza a Palazzo Chigi con vista ascesa al Quirinale nel 2022, fatto che priverebbe i partiti e il Parlamento della possibilità di una dialettica politica sul prossimo inquilino del Colle.
Una crisi caotica e totalmente controproducente per il Paese appare uno scenario più plausibile per il Paese, così come l’opzione di un rimpasto capace di permettere al governo di tirare a campare fino alle vere forche caudine, quelle che saranno doppiate in estate con l’apertura del semestre bianco in cui Mattarella non potrà sciogliere le Camere e al cui interno si apriranno le partite strategiche per gli anni a venire. Partite che, fin dal primo appuntamento con l’elezione del nuovo capo dello Stato, un’ascesa di Draghi anestetizzerebbe assieme ai possibili dividendi politici. E l’autoreferenziale maggioranza giallorossa difficilmente vorrà perdere anche la minima occasione spartitoria che prima del ritorno alle urne gli capiterà a tiro.
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