Sul Corriere della Sera, appare questa lettera di una adolescente, che esprime tutto il suo disagio e la sua drammatica solitudine.
E direi che, con questi chiari di luna, forse sarebbe buona cosa ascoltare questo grido. Ricordate la canzone Message in a bottle (Messaggio in bottiglia) di The Police del 1979?
«Solamente un naufrago / Un atollo sperduto nell’oceano / Un ulteriore solitario giorno / Con nessuno qui eccetto me / Più isolamento / Che nessun altro uomo può sopportare / Soccorretemi prima / che crolli nella buia disperazione
Invierò un SOS al mondo / Invierò un SOS al mondo / Spero che qualcuno riceva il mio / Spero che qualcuno riceva il mio / Spero che qualcuno riceva il mio / Messaggio in bottiglia, sì / Messaggio in bottiglia, sì
Un anno è passato da quando / scrissi la mia annotazione / Ma avrei dovuto conoscere / quest’esito sin dall’inizio / Solo la speranza può farmi rimanere intero / L’amore può rammendare la tua esistenza / Ma l’amore può spezzare il tuo cuore
Invierò un SOS al mondo / Invierò un SOS al mondo / Spero che qualcuno riceva il mio / Spero che qualcuno riceva il mio / Spero che qualcuno riceva il mio / Messaggio in bottiglia, sì / Messaggio in bottiglia, sì / Messaggio in bottiglia, sì / Messaggio in bottiglia, sì»
Ci sarà qualcuno che potrà rispondere a questo grido? Che raccoglierà l’SOS lanciato in una bottiglia (quella bottiglia che può essere un quotidiano, un social o il silenzio incomprensibile o il rumore martellante?)
Lavinia scrive così: «Ho sedici anni e mi sento un fallimento. Non dovrei sentirmi così perché sono una ragazza giovane, una ragazzina, bambina per certi versi. Frequento un liceo scientifico. Mi dovrebbe piacere andare a scuola, soprattutto perché credo che dovrebbe essere un posto pieno di sorrisi e di crescita, a differenza di quel che è. Ogni mattina sono costretta ad andare in quell’edificio dove l’unico raggio di sole sono i miei amici. Le ore scorrono e ogni adulto che si trovi lì fa ciò che vuole, senza badare al fatto che davanti a sé ha ancora dei ragazzi che devono crescere. Vengono assegnati compiti su compiti che non ti permettono di goderti quello che c’è fuori, un pomeriggio di sole, una giornata con gli amici o in famiglia. Spesso ho la settimana completamente occupata: il lunedì studio per il mercoledì, il martedì che esco alle due ho poi ripetizioni per matematica e fisica dalle tre e mezza per due ore e poi alle sei nuoto, la sera di questo giorno non studio perché spesso devo spostarmi a casa di mia madre, il mercoledì studio per il giovedì e così anche il giovedì quando spesso ho la psicologa, il venerdì che invece ho solo nuoto alle 18, tento di avvantaggiarmi sui compiti ma quasi sempre cado nel sonno, e poi il fine settimana è una rincorsa per finire tutto in tempo per il lunedì. E in tutto questo, anche se la scuola è un inferno, anche se ho la settimana piena, anche se vorrei tutto tranne questo, io mi impegno, ma sono un fallimento. Studio, faccio ripetizioni, non esco tentando di fare di più. Ma poi arrivo al compito e mi prende il panico. Arriva l’insufficienza e crollo…»
Di fronte alla tragedia di Chiara, quella madre che ha ucciso i suoi due figli per una ragione inspiegabile, sempre sul Corsera Gramellini si chiede: «Siamo inquietati dalla doppia personalità della baby-sitter modello che avrebbe ucciso i propri figli appena nati. Ma vogliamo parlare del mondo che le girava intorno?»
Ecco, qual è questo mondo che gira intorno a noi, ai nostri giovani, quotidianamente, a scuola, nei social, in famiglia…? Il mondo dei diritti contro la vita, il mondo che squalifica uno judoka perché alle Olimpiadi, prima della gara, si fa un segno di croce, il mondo che vive di divisioni e di accuse, senza mai interrogarsi sulle proprie responsabilità, quel mondo che irride alla pace e esalta l’odio manifestando sempre a senso unico (noi i giusti a prescindere e voi, i malvagi, sempre a prescindere), il mondo che esulta (anche qui da noi) perché in un Paese che si vuole paladino dei diritti ha creato una zona cuscinetto dove chi prega per la vita non può accedere nelle vicinanze degli ospedali in cui si praticano gli aborti?
Non so, ma in questi giorni mi è capitato di entrare in un negozio famoso per un acquisto. Il personale era per la maggior parte formato da giovani. Il servizio d’ordine era assicurato da un senegalese presente in Italia da 25 anni… mi è sembrato un altro mondo, fatto di simpatia, di rispetto, di disponibilità. E non mi si dica che è solo per necessità di lavoro. Ho altri esempi simili, come ad esempio nel caso di reparti di terapia intensiva: sempre giovani e sempre accoglienti.
Così mi risponde una amica dopo che le ho inviato questa lettera: «Per prima cosa, un abbraccio forte forte… un ti voglio bene perché sei così determinata e non molli, perché sei perfetta così come sei! Poi un altro abbraccio perché ti conosci e sei sincera, perché la tua ingenuità di bambina vince quella che chiami fragilità… non sei fragile, Lavinia, sei una ragazza corazzata contro le difficoltà. Se fossi in te… darei un calcio al nuoto per stare con gli amici e uscire insieme all’amica/o del cuore per raccontarsi, per fare quattro passi, per godere insieme dell’amicizia. È un calcio anche alla psicologa… per quel che serve …pensa invece a stare insieme per esempio ad un gruppo che canta in coro… oppure che va a fare una caritativa ai bambini che faticano coi compiti a casa… ti darei l’indirizzo… insieme ad un forte abbraccio… e all’indirizzo di una nonna con cui trascorrere qualche volta il fine settimana».
Potremo dare spazio alla speranza e a rapporti «non tossici» ma carichi di affetto e di ragioni?
Potremo anche metterci insieme facendo quella rete protettiva (come per i trapezisti e gli equilibristi nelle loro stupende esibizioni) che sostiene la speranza dei giovani?
don Gabriele Mangiarotti