Il silenzio degli operai? Colpisce e ferisce. Ma ad essere silenti non sono solo gli uomini e le donne: anche i giovani, e in generale tutta la società civile. Per questo, per capire perché gli operai non si indignano bisogna capire perché noi tutti non ci indigniamo più, che il vero problema è il generale spegnersi del dissenso, sia sul piano privato che su quello sociale e politico.
Il fatto è che la protesta costa, come il tentativo di restare coerenti con le proprie idee. Protestare significa inoltre configgere, mentre oggi non sopportiamo più né la sofferenza né il conflitto. Così, le passioni forti si attenuano, e quindi anche i più beceri fatti di cronaca non ci fanno indignare.
Il dissenso non è scomparso dalla mente degli operai. Purtroppo, si è esaurita la spinta propulsiva al cambiamento, perché i lavoratori hanno perso fiducia nel fatto che il loro agire possa produrre un mutamento. Ma il cambiamento può venire unicamente da noi. E l’assuefazione a cose sempre più degradate non può costituire un alibi.
In un disinteresse verso ciò che accade, in un deficit di partecipazione, infine in un’incoerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ad esempio, si firmano istanze , o si va a votare, senza prendere nessuna informazione su ciò che si sta firmando o votando. Oppure, non si vota proprio e non si partecipa. Purtroppo i diritti conquistati dai vecchi compagni sono ereditati ma non ereditari, cioè li puoi perdere come li hai acquisiti.
Ma A San Marino è più forte l’indifferenza perché maggiore è da noi l’abitudine al degrado. Abbiamo superato, sul piano pubblico, ogni limite di decenza, eppure nulla desta più scandalo.
Si tratta di una vera e propria regressione nell’ambiguità, nell’apatia affettiva, nell’inerzia e nella promiscuità. Magari si ostenta il proprio scontento, ma non ci si sottrae a tutte quelle collusioni che mantengono in piedi il sistema: egoismi, narcisismi, complicità marginali col potere, clientelismo, omissioni, indifferenza.
Nascono dal tentativo di evitare il conflitto, il rapporto con le cose che non ci piacciono o con le persone che ci contestano, e di eludere sia la fatica della differenziazione e della chiarificazione della propria dignità e identità, sia quella della coerenza con ciò che si è.
Ad esempio, facendo fare una psicoterapia ad una persona licenziata, perché accetti questa situazione, mentre dovrebbe solo scendere in piazza a gridare la difficile posizione.
Dunque diciamolo: è morta la dimensione collettiva. Il “noi” che rafforzava i tanti “io” di cui era composto. Era onnipresente, la prima persona plurale. Ora è scomparsa. Non è mai stata facile da declinare: includere l’Ego degli altri, sistemarlo accanto al proprio, non è mai naturale, tocca smussare angoli, reprimere individualismi, concedere generalizzazioni, perdere qualcosa di sè. Però si può fare, anzi: si deve.
Orgoglio (Operaio) e rabbia e mettere in atto forme dure e coraggiose di protesta.
Soltanto una massa di “io” ordinati in un “noi”, che li sovrasta e li protegge e li rappresenta, nel corso della storia, ha saputo abolire lo schiavismo, difendere il lavoro, conquistare diritti uguali per tutti, combattere il fascismo. L’individuo, da solo, può regalare all’umanità soltanto il godimento dell’arte. È necessaria, l’arte, ma non è sufficiente.
Interrompere una rivoluzione è pericoloso: non riesci a imporre nuove valori, a radicarli, a estenderli a tutti, come quando vinci. Non vieni travolto dalla restaurazione del vecchio, come quando perdi. Quando lasci una rivoluzione a metà la restaurazione è lenta e strisciante.
Finché ti accorgi che, nel silenzio/assenso generale, si è tornati indietro. Come prima e peggio di prima.
Libertà è partecipazione…………
(Orgoglio Operaio)
Michele Guidi