La pronuncia sul caso di una cittadina ghanese sottoposta a fermo in Francia. Ammessa una sola eccezione: possibile trattenere un migrante se l’allontanamento è a rischio, ma per non più di 18 mesi
BRUXELLES – La direttiva Ue sui rimpatri impedisce che un cittadino di un Paese non appartenente all’Unione, prima di essere sottoposto alla procedura di rimpatrio, possa essere recluso per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro attraverso una frontiera interna dello spazio Schengen. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue. Il principio vale quando un cittadino che si trova in una situazione di transito nel territorio dello Stato membro viene fermato in uscita dallo spazio Schengen e sia sottoposto a una procedura di riammissione nello Stato membro da cui proviene. In assenza di partenza volontaria, la direttiva obbliga gli Stati membri a procedere all’allontanamento forzato con misure il meno possibile coercitive. Solo quando l’allontanamento rischia di essere compromesso, lo Stato membro può trattenere l’interessato, per una durata che non può in nessun caso superare i 18 mesi. La Corte precisa che “gli Stati membri non possono consentire la reclusione dei cittadini di Paesi non Ue, nei confronti dei quali la procedura di rimpatrio non sia stata ancora conclusa, in quanto tale reclusione è idonea a ostacolare l’applicazione della procedura stessa e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l’effetto utile della direttiva”.
La direttiva sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi prevede che una decisione di rimpatrio debba essere adottata nei confronti di qualunque cittadino di un Paese non Ue il cui soggiorno è irregolare. Da tale decisione inizia a decorrere un periodo per il rimpatrio volontario seguito, se necessario, da misure di allontanamento forzato. Il caso sottoposto alla Corte di giustizia Ue riguarda la Francia, Paese in cui il diritto prevede che i cittadini non Ue possano essere puniti con un anno di reclusione se sono entrati irregolarmente nel territorio francese. Inoltre, una persona indiziata di un reato (anche se tentato) punito con la reclusione, può essere privata temporaneamente della libertà al fine di essere mantenuta a disposizione degli inquirenti. Si tratta del cosiddetto “fermo di polizia”.
Il caso è quello di una cittadina ghanese, Sèlina Affum, che nel marzo 2013 venne fermata dalla polizia all’ingresso del tunnel sotto la Manica, mentre era a bordo di un autobus proveniente da Gand (Belgio) e diretto a Londra. Avendo esibito un passaporto belga con fotografia e nome di un’altra persona è stata sottoposta a fermo di polizia per ingresso irregolare nel territorio francese. Poi le autorità hanno chiesto al Belgio di riammetterla nel suo territorio.
Dopo la contestazione della signora Affum, la Cour de cassation ha chiesto alla Corte di Giustizia se, alla luce della direttiva rimpatri, l’ingresso irregolare di un cittadino non Ue nel territorio nazionale possa essere represso con la pena della reclusione.
La Corte Ue richiama la sua giurisprudenza (sentenza Achughbabian) secondo la quale la direttiva rimpatri “osta a qualsiasi normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante la reclusione di un cittadino di un Paese non Ue nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista da tale direttiva”.
In base a questa medesima giurisprudenza, la reclusione viene consentita però se il cittadino in questione è già stato sottoposto a tale procedura e continui a soggiornare in modo irregolare nel territorio dello Stato membro senza giustificato motivo. Inoltre, la direttiva non osta neppure a un trattenimento amministrativo finalizzato ad acclarare se il soggiorno di un cittadino non Ue sia regolare o meno.
In sostanza, la Corte stabilisce che un cittadino non Ue che entra nel territorio Ue irregolarmente “deve essere assoggettato alla procedura di rimpatrio al fine del suo allontanamento e ciò fintantoché il soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato”. Le deroghe previste non consentono agli Stati membri di sottrarre un cittadino extra Ue, come la signora Affum, all’ambito di applicazione della direttiva a motivo del fatto che ha attraversato in modo irregolare una frontiera interna dello spazio Schengen (la frontiera franco-belga) o che è stato fermato mentre tentava di lasciare tale spazio (il Regno Unito, infatti, non fa parte dello spazio Schengen).
Dunque, la signora ghanese “non poteva essere reclusa per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio francese prima di essere stata sottoposta alla procedura di rimpatrio”. D’altra parte le autorità francesi non avevano neppure avviato tale procedura. La conclusione è che “gli Stati membri non possono consentire, in conseguenza del mero ingresso irregolare, che determini un soggiorno irregolare, la reclusione dei cittadini di Paesi non Ue, nei confronti dei quali la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva non sia stata ancora conclusa, in quanto tale reclusione è idonea a ostacolare l’applicazione della procedura stessa e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l’effetto utile della direttiva”.
Questo però “non esclude la facoltà per gli Stati membri di reprimere con la pena della reclusione reati diversi da quelli attinenti alla sola circostanza dell’irregolare ingresso, anche in situazioni in cui la procedura di rimpatrio non sia stata ancora conclusa”.
La Repubblica.it