
Dino Giarrusso, ex Iena e ora eurodeputato del M5S, pochi giorni fa se ne uscì con un convintissimo “Migranti, vittoria storica! Abolito Dublino”. Giuseppe Conte parlò di “svolta”. E Vito Crimi di “grande vittoria” del Movimento. Queste almeno le dichiarazioni ufficiali. Ma a poche ore dalla presentazione di Ursula Von Der Leyen della riforma europea delle regole per l’accoglienza e l’asilo, gli umori a Bruxelles sono di tutt’altro tenore. A diverse latitudini del Parlamento e tra gli sherpa Ue circola infatti una sensazione che ormai è quasi una convinzione: “Ne abbiamo parlato – dicono – e tutti concordano che è solo fuffa”. O poco di più.
L’annuncio di Ursula durante il discorso sullo Stato dell’Unione ha colto un po’ tutti di sorpresa. La sua Commissione lavorava da tempo ad una riforma del trattato di Dublino, ma il tema è stato rinviato più e più volte. Anche causa Covid. Pochi quindi avrebbero scommesso un euro su un annuncio simile, sebbene chi osserva da vicino i lavori di Bruxelles sa che la presidente è molto attenta a quel che succede in Germania. O meglio al dibattito pubblico tedesco. “Per sapere di cosa parlerà la Von der Leyen bisogna leggere il Die Welt”. E visto che da giorni a Berlino si parla dell’incendio del campo profughi di Moria, la “svolta” di Ursula è figlia di questa pressione mediatica.
Il problema è che di concreto per ora non c’è nulla. La Commissione presenterà il suo piano solo domani. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra l’accoglienza e il rigore anti-irregolari e le prime indiscrezioni non appaiono del tutto positive per l’Italia. Il nuovo sistema dovrebbe essere “tripartito”: la prima parte dovrebbe prevedere il ricollocamento obbligatorio dei migranti tra i Paesi Ue, ma solo per i “profughi”, ovvero coloro che ottengono l’asilo; il secondo braccio si attiverebbe solo in caso di crisi migratorie importanti, quando allora scatterebbe il ricollocamento obbligatorio anche per richiedenti asilo (da ospitare) e migranti economici (da rimpatriare); il terzo, infine, riguarderebbe i salvataggi in mare, con trasferimenti coatti tra gli Stati membri e un rafforzamento di Frontex in chiave anti scafisti. In ogni caso le capitali più restie a condividere il peso delle migrazioni, come il blocco di Visegrad, potrebbero lavarsene le mani pagando una sorta di multa. Se l’accordo fosse questo, Ursula esulterebbe. Ma ci sono alcuni nodi: “Senza accordi con gli Stati dove rimpatriare i migranti – dice Salini – i rimpatri non si realizzano. I propositi sono buoni, speriamo sia supportato da azioni concrete giuridiche e politiche”. E poi come per il Recovery Fund si prospettano battaglie all’ultimo sangue in seno al Consiglio. A quel punto è probabile che si arriverà ad un accordo al ribasso e il diavolo – si sa – finirà col nascondersi nei dettagli.
Per questo a Bruxelles sono molte le voci scettiche. Fonti del M5S frenano l’entusiasmo dimostrato a Roma da Conte e Di Maio. Il mantra è “molta cautela” e nessuno si sbilancia prima di aver letto il testo. “Vogliamo leggere questa proposta – dicono – Tante volte ci siamo trovati di fronte a questi annunci. E poi non è cambiato nulla”. Il precedente più doloroso è quello del 2015, ai tempi della Commissione Juncker. Anche allora venne promesso il superamento di Dublino, eppure siamo ancora qui a parlarne. Certo, molti fanno notare che “il clima è diverso”. Ma c’è una linea rossa che il M5S, e di riflesso si immagina anche il governo, non intende oltrepassare: “A noi interessano i ricollocamenti obbligatori e automatici”. Se non ci saranno, il dialogo potrebbe incepparsi. Il fatto è che il ricollocamento dei soli profughi (come immagina l’Ue) non può bastare all’Italia, visto che l’80% di chi approda nel Belpaese poi non ottiene asilo. A Roma serve di redistribuire anche gli irregolari, ma da quell’orecchio a Bruxelles non sembrano sentirci. “Mi chiedo se sarebbe una buona idea ricollocare quanti devono essere rimpatriati”, ha detto infatti la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson. “Il ricollocamento è una parte importante, ma deve essere fatto in modo che sia accettabile per tutti gli Stati membri”. Tradotto: i clandestini se li dovrà tenere l’Italia.
Va detto che quella della Commissione è solo un incentivo a riprendere in mano il discorso, il vero nodo è in Consiglio. L’europarlamento infatti da tempo ha votato un modo per superare gli errori di Dublino, ma i capi di Stato e di governo non hanno ancora sancito l’accordo. “Gli eletti dal popolo si sono espressi da anni e nella direzione giusta – dice Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia – Ma il nostro lavoro non viene preso in considerazione dal Consiglio”. L’ostacolo più grande si chiama “blocco di Visegrad”, più Austria e Slovenia. Il presidente ungherese Orban è la spina nel fianco: andare contro il fronte dei contrari alla solidarietà significa rischiare di mandare tutto a monte. Ma accontentare Budapest vuol dire scontentare Italia, Grecia e gli Stati del Sud. “Come fai a mettere d’accordo Paesi che con vogliono saperne nulla dei ricollocamenti obbligatori e automatici?”, si chiedono le fonti.
Nessuno a Bruxelles pensa si possa arrivare facilmente ad una soluzione e anche la Commissione ne è consapevole. “Nessuno sarà soddisfatto della proposta”, ha infatti ammesso Johansson. Per questo l’annuncio di Ursula in pompa magna della scorsa settimana è suonato stonato. Intanto perché Dublino non verrà “abolita”, come detto dalla presidente. Ma solo “emendato”. E poi molta strada è ancora da percorrere. “Noi ci aspettiamo il solito teatrino – sussurra una fonte da Bruxelles – Non c’è nulla, sono solo parole. Quando Juncker ci provò tutto fallì. Ne abbiamo parlato tra colleghi e molti concordano che è solo fuffa”. Anche nel Ppe, che sostiene la Von der Leyen, lo scetticismo regna sovrano: “Che si possa arrivare ad una conclusione della vicenda del governo dei flussi migratori lo escludo nella maniera più assoluta – dice Salini – Non credo che dalla Commissione ci sarà la scossa che consentirà al Consiglio di trovare una quadra”. Al di là delle parole, prevede il forzista, la sensazione è che il piano “si tradurrà ad un presidio un po’ rinforzato dei confini e una agenda di riunioni dove parlare di questo tema”. Insomma: “Non siamo al punto di svolta”. Checché ne dica Conte.
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