PRODUCONO quasi il 9% del Pil, hanno una propensione molto più alta degli italiani ad avviare nuove imprese, hanno un tasso di occupazione più alto dei nativi e sono l’11% dei lavoratori presenti nei nostri confini. I numeri dell’Istat, di Caritas Migrantes, di Unioncamere e della Fondazione Leone Moressa portano tutti a una conclusione: i cinque milioni di stranieri che vivono nel nostro paese sono uno dei motori più importanti dell’economia tricolore. E, con l’invecchiamento della popolazione che affronteremo nei prossimi anni, diventeranno una risorsa da sfruttare, come sta già avvenendo in Germania.
Partiamo dal quadro generale, delineato dal rapporto Caritas Migrantes. La popolazione straniera residente in Italia al 2014 ammonta a 4,9 milioni di persone, su 60 milioni di abitanti, con punte in Lombardia (1,1 milioni), nel Lazio (616mila), in Emilia Romagna (534mila) e in Veneto (514mila). Si tratta di stime che non fotografano il presente: nel frattempo abbiamo già sfondato il muro dei 5 milioni. Tra i non comunitari, i più presenti sono gli albanesi (495mila), i marocchini (454mila), i cinesi (256mila) e i filippini (162mila). La presenza di non comunitari, quindi, è fortissima: i permessi di soggiorno attivi, al momento, sono 3,8 milioni, in discesa del 2,9% nel 2014.
GIÀ questi numeri danno l’idea dell’impatto che gli immigrati hanno sulla nostra economia. Andando ancora più a fondo si può citare una stima della Fondazione Leone Moressa: durante lo scorso anno gli stranieri hanno prodotto l’8,8% della ricchezza nazionale, circa 123 miliardi di euro. Per l’Istat gli occupati stranieri, infatti, sono 2,4 milioni, l’11% del totale degli occupati italiani: il 66% di loro sono non comunitari. Mentre le cose per gli altri vanno male, gli stranieri nel 2014 hanno fatto registrare un aumento dell’occupazione del 3,5% per gli extra Ue e del 4,6% per quelli Ue. Addirittura, il loro tasso di occupazione è superiore a quello dei nativi, caso unico in Europa: al momento gli italiani sono al 56,3%, i non comunitari al 56,6%, i comunitari al 62,6%.
Il tasso di disoccupazione, invece, è al 16,9%, leggermente sopra quello degli italiani. Guardando ai settori, si nota chiaramente che la loro presenza copre aree lasciate libere dai nostri connazionali: pesano il 39,3% nei servizi alla persona, il 19% negli alberghi e ristoranti, il 18% nelle costruzioni. Nelle professioni qualificate, invece, la presenza di stranieri è bassissima.
Il ruolo attivo che hanno nella società, però, è testimoniato anche da un altro dato: secondo i numeri di Unioncamere, le imprese di cittadini stranieri sono poco meno di 540mila, in costante aumento, con forte concentrazione in Lombardia, Toscana, Lazio ed Emilia Romagna.
Parliamo dell’8,9% del tessuto produttivo italiano, composto da sei milioni di imprese. «E’ stata la spinta all’imprenditorialità degli stranieri residenti in Italia a tenere positivo il saldo delle imprese italiane», spiegano da Unioncamere. Vuol dire che, senza la vivacità degli stranieri, le società registrate nei nostri confini negli ultimi anni si sarebbero drasticamente ridotte.
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