Serve «la possibilità di utilizzare i richiedenti asilo per lavori di pubblica utilità, finanziati con fondi europei. Non si creerà una duplicazione nei mercati del lavoro, perché non sarà un lavoro retribuito». Lo ha detto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, in audizione alle commissioni riunite Affari costituzionali di Camera e Senato, dove ve ha esposto le sue linee programmatiche su immigrazione e sicurezza. «Bisogna evitare il vuoto dell’attesa», ha aggiunto, ricordando che i richiedenti asilo aspettano fino a due anni una risposta alla loro domanda.
Una raccomandazione, quella di far lavorare i profughi, contenuta già in una circolare del ministero datata novembre del 2014 (coinvolgendo i migranti in attività di pubblica utilità a favore delle popolazioni locali, indicava il documento, «si assicurano loro maggiori prospettive di integrazione nel tessuto sociale del nostro Paese, scongiurando un clima di contrapposizioni nei loro confronti» ) e praticata in alcuni centri urbani. Per poi essere rilanciata lo scorso agosto dal capo del Dipartimento libertà civili ed immigrazione del ministero dell’Interno, Mario Morcone.
Minniti: attivare lavori utili non retribuiti
«L’accoglienza – ha sottolineato il ministro – non può avere tempi indefiniti. Bisogna abbattere i tempi di risposta per i richiedenti asilo, che sono mediamente di due anni: è un periodo troppo lungo per i diritti dei richiedenti e per le comunità. Bisogna quindi intervenire dal punto di vista legislativo riducendo di un grado di giudizio per i ricorsi e con assunzioni nelle commissioni d’asilo». Minniti ha quindi evidenziato il problema dei minori non accompagnati, «in drammatico aumento» (25.485 sbarcati nel 2016 contro i 12.360 del 2015, ndr). Auspico l’approvazione del ddl in materia perchè su questo si gioca la civiltà di un paese».
«Centri rimpatrio sono diversi dai Cie»
I flussi in corso sono drammatici. Dal 1° gennaio fino a oggi sono arrivati 9.359 migranti, oltre il 50% in più rispetto allo stesso giorno del 2016 (6.030 persone) e quasi il triplo del 2015 (3.709). In accoglienza sono ospitati 174.841 stranieri. Il progetto di Minniti prevede un giro di vite sulle espulsione degli irregolari.Nel decreto legge in preparazione gli attuali Cie (centri di identificazione ed espulsione) si chiameranno Cpr, ossia Centri per il rimpatrio. Con una permanenza breve per gli stranieri, quella sufficiente per l’identificazione e il lasciapassare dello Stato d’origine a riportarli con un volo aereo. «Saranno riaperti centri dove tenere le persone in attesa di essere rimpatriate, uno per regione, per un totale di 1.600 posti. Un paese di 60 milioni di abitanti può averli. Non c’entrano nulla con i vecchi Cie» ha detto Minniti in audizione, parlando di strutture «di piccole dimensioni, preferibilmente fuori da centri urbani, vicini a infrastrutture di trasporto, con governance trasparenti e poteri di accesso illimitato per il Garante dei detenuti».
«Tema rimpatri cruciale»
Il tema dei rimpatri forzati, ha sottolineato il ministro, «è cruciale: se funzioneranno questi, cominceranno a funzionare i rimpatri volontari assistiti, per i quali prevediamo il raddoppio dei fondi». «Non mi accontento – ha sottolineato – del foglio di via. In condizioni di civiltà e rispetto, chi non ha diritto a restare deve esser riportato nel paese di provenienza».
Servizi dei centri di accoglienza con gare per lotti
Sul fronte dell’accoglienza, invece, è previsto un decreto del Viminale in base al quale appalti di gestione per i servizi dei centri per gli immigrati non saranno più unici. D’ora innanzi dovranno essere divisi in lotti – mensa, assistenza sanitaria, alloggiamento – ciascuno messo a gara singolarmente. Il Viminale, va aggiunto, da mesi si è confrontato con l’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. E il 1° febbraio l’Anac ha dato parere favorevole – vincolante – al nuovo capitolato messo a punto dai tecnici del Viminale.
“Serve la possibilità di utilizzare i richiedenti asilo per lavori di pubblica utilità. Non si creerà una duplicazione nei mercati del lavoro, perché non sarà un lavoro retribuito”
Marco Minniti, ministro dell’Interno
«Accordo con Serraj è primo passo, ora va applicato»
Inevitabile per il ministro dell’Interno sottolineare l’importanza dell’intesa stipulata giovedì scorso a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il presidente del consiglio presidenziale libico, Fayez Mustafa al Serraj, accordo poi condiviso nella riunione dei capi di Stato e di Governo a Malta. La scommessa dell’Italia è di essere considerata il capofila di un’azione strategica per ridurre il flusso dei migranti: il 2016 è stato l’anno record con 181.436 stranieri approdati sulle nostre coste.
«Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia firmato la scorsa settimana da Gentiloni e Serraj è un passo: non aggiungo aggettivi, è una definizione sobria e realistica. Ora la sfida è la sua applicazione» ha detto Minniti, che ha aggiunto: «Il Governo Serraj sceglie di assumere un’azione di contrasto agli scafisti e non era così scontato, perchè il traffico di esseri umani è una potenza economica in Libia, che è un Paese ben lungi dall’essere stabilizzato». Il ministro ha ricordato che nel 2016 oltre il 90% dei migranti sbarcati in Italia (nessuno dei quali libico) è partito dalle coste libiche e che nelle prime settimane del 2017 la quota è salita quasi al 100%. E ha spiegato che la «stabilizzazione della Libia passa attraverso l’accordo tra Est ed Ovest».
«Rischi diaspora ritorno e lupi solitari»
Quanto al rischio terrorismo, «se è vero l’assunto che più va avanti» l’offensiva della coalizione internazionale contro l’Isis in Siria ed Iraq «più aumenta la minaccia terroristica, nei prossimi mesi è ragionevole pensare che possiamo avere due fenomeni significativi: una diaspora di ritorno» da parte di chi
rientra dai teatri di guerra e «l’autoinnesto di atti individuali» ha detto il ministro dell’Interno, che ha parlato di minaccia sempre più imprevedibile. Il Sole 24 Ore