Milano. Gli omicidi nella clinica degli orrori «Carcere a vita per il chirurgo»

MediciLACRIME, di disperazione e di sollievo. Fine pena mai e fine della pena. Sono le lacrime di mogli e cari dei medici della chirurgia toracica di Pier Paolo Brega Massone e dell’ex Santa Rita. Scivolano sulle facce di chi soffre della conferma dell’impianto accusatorio per cui, per la prima volta in Italia e in Europa, due medici vennero condannati per omicidio volontario, nella prospettiva del dolo eventuale, pur nell’esercizio delle proprie funzioni. Ma sono anche le lacrime di chi vede almeno uno di questi medici uscirne, assolto.

PIER PAOLO Brega Massone non piange: magro, affilato, dice ai giudici della prima Corte d’assise d’appello e prima che si ritirino in camera di consiglio: «Non ero un serial killer, la mia priorità è sempre stata quella di dare ai pazienti la sicurezza». Ma dopo che la condanna a 15 anni e mezzo per 79 lesioni volontarie (altrettanti interventi inutili, dannosi) è divenuta definitiva, anche quest’ultima, più dirompente e distruttiva, trova il via libera di fronte al presidente Sergio Silocchi. Ergastolo, con la sola attenuazione dell’isolamento diurno per un anno e mezzo (invece di tre), a saldo di quattro pazienti morti sotto i ferri o poco dopo, e che per le loro condizioni precarie o di malati terminali, non avrebbero dovuto essere operati: condotti a morte dalla logica del massimo rimborso da succhiare al servizio sanitario, e nella logica del massimo bonus per gli intraprendenti chirurghi. Mandando sotto i ferri Giuseppina Vailati, 82 anni, Maria Luisa Scocchetti, 65 anni, Gustavo Dalto, 89 anni, e Antonio Schiavo, 85 anni, Brega Massone si è assunto coscientemente il rischio che quelle povere persone non ne uscissero vive. Lo stesso vale per due di questi morti, per il primo aiuto, Pietro Fabio Presicci, che la Corte d’assise d’appello condanna a 25 anni, contro i 30 inflitti in primo grado. Per lui il sostituto pg Massimo Gaballo aveva chiesto 21 anni e 4 mesi, ritenendo che la morte di Schiavo dovesse essere derubricata in omicidio preterintenzionale, in quanto si sarebbe verificata per un evento diverso da quello che i medici avrebbero dovuto preventivare.

UNICO a uscirne – e come da richiesta del pg Gaballo – è il secondo aiuto, Marco Pansera. Condannato in primo grado a 26 anni 2 mesi per la morte di Maria Luisa Scocchetti, è assolto perché il fatto non costituisce reato: si ritiene che il chirurgo, alla Santa Rita da appena quaranta giorni prima di entrare nella sala in cui la donna sarebbe stata operata, potesse non essere ancora a conoscenza del protocollo in vigore nella chirurgia toracica. Inutilmente le difese (per Brega gli avvocati Luigi Fornari e Titta Madia e per Presicci Mauro Mocchi e Federica Furlan) hanno puntato alla derubricazione da omicidio volontario a colposo con colpa cosciente, in forza della sentenza per i morti alla Tyssen di Torino: in questo caso i medici erano in grado di vedere il rischio e di prevedere l’evento.

La Stampa