Un mistero aleggia sulla missione che la Russia inviò “con amore” in Italia nel marzo del 2020. Altra epoca. L’allora premier Giuseppe Conte e Vladimir Putin si sentivano al telefono e concordavano aiuti umanitari. Luigi Di Maio andava a Pratica di Mare ad accogliere i convogli carichi di materiali e 104 tra soldati e sanitari. E Lorenzo Guerini siglava l’accordo col ministro russo Serghei Shoigu, oggi considerato uno dei più feroci sostenitori della “operazione speciale” a Kiev. Altri tempi, dicevamo. Lo dimostra il conflitto in Ucraina, ovviamente. Ma anche l’attacco dell’ex console russo a Milano, Alexei Vladimorovic, al ministro della Difesa italiano e la minaccia di “conseguenze irreversibili” in caso di nuove sanzioni contro Mosca. Ma perché rivangare quella missione che sostenne gli ospedali bergamaschi e permise di disinfettare decine di Rsa?
Come nacque l’operazione
Per capirlo torniamo al marzo del 2020. In quei giorni l’Italia è nell’occhio del ciclone a causa della rapida diffusione del coronavirus. I Paesi europei taglioni i ponti, la Germania blocca le esportazioni di dispositivi medici, gli Stati Uniti non si sprecano nel supporto. Così Conte e Putin si sentono al telefono. “In risposta all’appello della parte italiana – raccontava al Giornale l’ambasciatore russo Sergey Razov – il presidente Putin ha confermato la disponibilità della Federazione Russa a fornire immediatamente tutto l’aiuto necessario al governo e al popolo italiano. A due giorni di distanza dalla telefonata fra i due leader, nove aeromobili pesanti dell’aviazione di trasporto militare russa sono arrivati in Italia”. A bordo anche 104 persone, tra cui militari, 28 medici, 4 infermieri e due ricercatori. I dettagli dell’operazione furono trattati da Guerini e dall’omologo Shoigu (“L’Italia non è sola in questa sfida. Voglio ringraziare la Russia per gli aiuti che sta fornendo al nostro Paese nel superare questa emergenza”, disse il nostro ministro della Difesa). Ed è su questi dettagli che da qualche mese si addensano i misteri.
Perché quella missione?
Molti si sono chiesti, infatti, cosa spingesse Mosca a inviare un contingente così numeroso in Italia. Soft power? Forse. Propaganda? Probabile. Già allora una fonte al Giornale rivelò che il tutto sarebbe servito ai russi “anche per studiare il virus e prepararsi ad un’eventuale emergenza a casa loro”. In effetti da quei 20 giorni di operazioni emerse poi un report, firmato da due epidemiologi (Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo), tutt’altro che favorevole alla gestione giallo-rossa dell’epidemia. Secondo La Stampa, invece, sotto le vesti umanitarie si celava una possibile operazione di intelligence visto che “molti dei militari arrivati erano inquadrati nel Gru, i servizi segreti militari di Mosca“. A rinfocolare le polemiche, anche il fatto che il New Yorker, alcuni mesi dopo, rivelò che il primo dna di coronavirus usato dai russi per realizzare Sputnik sarebbe stato isolato da un cittadino russo ammalatosi in Italia il 15 marzo. E anche la collaborazione tra l’ospedale Spallanzani e Mosca, bloccatasi solo nei giorni dell’invasione di Kiev.
L’incontro mai rivelato
Secondo il Corsera, poi, ci fu un “incontro riservato” tra i russi e gli italiani il 24 marzo nella foresteria del ministero della Difesa. All’incontro c’erano il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparti di difesa chimica, radiologica e biologica dell’esercito russo; il generale Luciano Portolano, comandante del Coi; Agostino Miozzo, ex capo dei Cts; e Fabio Ciciliano. Nell’occasione Kikot avrebbe proposto di “sanificare l’intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio”. Il generale russo parlò anche di “accordo politico di altissimo livello”, ovvero la telefonata Conte- Putin. La controparte italiana si sarebbe rifiutata di dare “carta bianca” in mano ai russi, così si decise di spedire i convogli di mosca a Bergamo per disinfettare ospedali e Rsa, oltre ad aiutare i medici nella Bergamasca (“trenta medici lavorarono all’ospedale in Fiera e furono determinanti per il funzionamento di quell’ospedale”, dice oggi Gori). “Cosa i russi riuscirono ad ottenere in seguito rimane ancora un mistero”, ipotizza il Corriere.
La relazione dei Copasir
In realtà, secondo il Copasir, niente di più. Nella relazione del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, pubblicato il 9 febbraio di quest’anno, si fa infatti riferimento alle notizie rivelate della Stampa su un possibile coinvolgimento di apparati di intelligence russi in Italia. “Tale vicenda – si legge – è stata oggetto di una richiesta di informazioni al DIS e di richieste di chiarimenti durante le audizioni del Ministro della difesa e dei direttori dell’AISE e dell’AISI. Da quanto si è appreso, la missione russa si sarebbe svolta esclusivamente in abito sanitario con il compito di sanificare ospedali e residenze sanitarie assistenziali (RSA) e il convoglio si è mosso sempre scortato da mezzi militari italiani”. Analisi confermata anche da Franco Gabrielli, sottosegretario con delega ai servizi, secondo cui “assolutamente non ci sono segreti”. Sulla stessa linea pure Conte: “Alla luce dei fatti non c’è alcun elemento per pensare che la loro attività e assistenza abbia travalicato i confini sanitari – dice – I nostri militari li hanno sempre affiancato la missione. E in seguito i riscontri che ho ricevuto su quell’operazione sono stati di apprezzamento per il loro contributo. Voler rileggere in modo strumentale a tutti i costi e senza elemento concreto quello che accadde due anni fa alla luce del conflitto attuale mi sembra fuorviante”.
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