Monti invoca il bavaglio ai media. Quanti nostalgici del Minculpop

«Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione». Chi ha pronunciato tali parole? Dino Alfieri? Alessandro Pavolini? Gaetano Polverelli? Erano, costoro, i ministri del ministero per la Stampa e la propaganda del regime, dal ’37 al ’44, prima che il governo Bonomi provvedesse alla sua soppressione. No, trattasi di Monti Mario (Varese, 1943) il quale, ospite della trasmissione In Onda, sull’emittente La7, si è lasciato andare al pensiero profondo e sentito, al punto che il triplete di giornalisti in studio, Damilano-Parenzo-De Gregorio, dopo qualche attimo di imbarazzo ma molto, molto trattenuto dinanzi a tale illustre docente, non certo un facinoroso di destra, ha provato, con timidezza, a domandare chi mai debba provvedere alla suddetta somministrazione dell’informazione e in che senso meno democratica. Il Monti di cui sopra ha spiegato che spetta al governo, guidato però dalle autorità sanitarie, e facendo così tornare alla mente alcune note di servizio, poi dette veline, che i ministri del Minculpop inviavano ai vari addetti dell’informazione per pilotare ogni tipo di notizia e cancellare quelle eventualmente negative per il regime. Monti Mario ha specificato, tuttavia, che durante quel periodo lui era incosciente, essendo nato a due anni dalla fine della guerra. Riflettendo sulle parole contemporanee presumo che il periodo di incoscienza prosegua, anche perché sarebbe interessante sapere dal professore senatore quale governo dovrebbe svolgere il ruolo in questione, quello di Draghi, quello di Conte che fu, il suo che è trapassato remoto? E quale autorità sanitaria dovrebbe essere sopra tutto e innanzitutto? L’Istituto superiore di sanità? L’Organizzazione mondiale della sanità? Le Asl locali? Anche il sostantivo di gran moda «somministrazione» suggerisce memorie di olio di ricino, con eventuale richiamo per successive dosi, sempre gestite dalla stessa azienda fornitrice. Il messaggio di Monti è chiaro e forte, il senatore sostiene, e ha ragione, che venti ore al giorno di programmi che si occupano di virus provocano la catastrofe ma è interessante constatare come lui medesimo vi partecipi e ne parli, anche per appalesarsi così rendendo di nuovo manifesti i motivi per cui continui a ricevere interessanti salari per una illuminata carriera politica. Costellata ad esempio da questa intervista a Der Spiegel: «… se i governi si facessero vincolare del tutto dalle decisioni dei loro Parlamenti, senza mantenere un proprio spazio di manovra, allora una disintegrazione dell’Europa sarebbe più probabile di un’integrazione», senza dimenticare la frase delicata sulla «monotonia del posto fisso, nella vita è bello cambiare», detta con saggezza da chi è senatore, dopo avere ricoperto i ruoli di primo ministro, ministro degli Esteri ad interim, ministro ad interim dell’Economia, presidente della Bocconi, membro del cda di Fiat auto, della Banca commerciale, advisor della Coca Cola, commissario europeo, presidente della Commissione Trilaterale, membro del comitato direttivo di Bilderberg, presidente della commissione paneuropea per la salute e lo sviluppo sostenibile, varie ed eventuali. Una eccellente somministrazione di incarichi.


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