Naufragio Concordia, 16 anni a Schettino Condannato l’ex comandante della Costa per omicidio e abbandono della nave. L’accusa aveva chiesto 26 anni e 3 mesi

schettinoI giudici del Tribunale di Grosseto, dopo quasi otto ore in camera di consiglio, hanno condannato l’ex comandante della nave da crociera Costa Concordia a 16 anni di reclusione e a un mese di arresto per il naufragio del 13 gennaio 2012 davanti all’isola del Giglio nel quale morirono 32 persone e 157 feriti. È stato interdetto per 5 anni come comandante di nave. Il collegio giudicante ha lo ha quindi riconosciuto colpevole di omicidio colposo e di abbandono della nave. Il Tribunale non ha invece riconosciuto l’aggravante del naufragio colposo e neppure l’aggravante della colpa cosciente per gli omicidi plurimi colposi. L’accusa aveva chiesto 26 anni e 3 mesi e l’arresto immediato per il timore di una fuga all’estero.

Schettino, secondo i suoi legali a causa della febbre, non è presente nell’aula allestita al teatro Moderno di Grosseto gremita di persone, anche normali cittadini, ma non mancano gli avvocati delle parti civili e il sindaco dell’isola del Giglio. Queste le accuse che hanno portato al giudizio di colpevolezza: omicidio colposo, lesioni colpose, naufragio, false comunicazioni all’autorità marittima e abbandono della nave.

 

Il risarcimento al Giglio 

Scettino e Crosta Crociere sono stati condannati in solido a risarcire le parti civili, tra cui la Presidenza del Consiglio, alcuni ministeri, la Protezione civile, la Regione Toscana e il comune di Isola del Giglio.

 

Le dichiarazioni spontanee e le lacrime di Schettino in aula

Questa mattina Schettino aveva rilasciato in aula delle dichiarazioni spontanee in aula che lo avevano portato a scoppiare in lacrime e che erano stato un atto d’accusa nei confronti della Costa: «Dal 13 gennaio sono morto anche io – aveva esordito – . Sono state usate frasi lesive contro la mia dignità anche in quest’aula, per avvalorare l’immagine di un uomo meritevole di una condanna. Per 3 anni sono finito un tritacarne mediatico difficile da comprendere, unito al dolore per quanto accaduto. Dopo il naufragio la mia testa è stata offerta con la convinzione errata di salvare interessi economici. La mia non è vita. Le strategie finalizzate al mio isolamento personale veicolate dai media hanno alterato i fatti, offrendo un’immagine della mia persona non corrispondente alla verità. Ieri sono uscito per fare un’iniezione antibiotica che mi ha consentito oggi di essere qua, hanno riferito di stizza nei confronti dei pm. Intanto l’azienda minaccia trasferimenti per scaricare ulteriormente le responsabilità. E tutto ricade su di me. Dopo questo incidente sono cambiate anche le normative di sicurezza sulle navi. Non è vero che non mi sono assunto le mie responsabilità. Non è vero che non ho chiesto scusa. Il dolore non va esibito per strumentalizzarlo, per questo non lo palesavo. Mi avete costretto a condividere momenti intimi, ma io ho preferito condividere il mio dolore, a casa mia, con alcuni naufraghi e con i parenti di alcune vittime».  La Stampa