Dopo 48 ore di pen(s)osa gestazione rispetto all’annuncio (su queste modalità informative da Minculpop minore occorrerà, prima o poi, riflettere), viene finalmente pubblicato il decreto “Cura Italia”. Le idee sono state così poco chiare tra gli alleati di governo che, non solo, ci è stata imposta un’attesa da parto gemellare, ma il decreto è stato pubblicato nottetempo, in una edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale, in un testo in cui fanno (leggere per credere) orribile mostra di sé – caso più unico che raro – evidenti cancellature e sovrapposizioni lessicali dell’ultimo momento.
Ma lasciamo da parte le tensioni governative e concentriamoci sul testo infine licenziato. Ove possibile, il risultato finale è peggiore di quello atteso. Accanto agli interventi in favore del lavoro dipendente(alcuni auspicabili – come, ad esempio, la cassa integrazione in deroga fino a 9 settimane, altri, francamente, di difficile comprensione in questa contingenza di chiara emergenza – soprattutto i 500 milioni destinati al trasporto aereo e alla newco per Alitalia), deve constatarsi l’evidentemente insufficiente previsione di ammortizzatori sociali per le partite Iva, con la clamorosa “esclusione” degli iscritti agli ordini professionali, i quali per la morale giallo-rossa formano, evidentemente, una categoria di ricchi borghesi ben pasciuti che non necessita di aiuto alcuno.
Cercando di mettere ordine nel linguaggio oscuramente burocratico del legislatore, l’ormai famigerato contributo di 600 Euro da “una tantum” solo per il mese di marzo diviene “su base mensile”, ma, come al solito, il diavolo si annida nei particolari: è prevista, infatti, una esigua cifra massima. Esaurita questa provvista? Non è dato saperlo, ma il retrogusto – ormai usuale – della promessa elettorale pur in assenza di elezioni è già amaramente avvertibile. Affiancano la previsione del contributo, disposizioni da condividere – si pensi al credito d’imposta sugli affitti – ad altre che inesorabilmente profumano di canzonatura propagandistica (che senso ha il differimento delle scadenze tributarie al 31 maggio, in assenza di ogni rimodulazione delle stesse e, soprattutto, ad attività chiuse?).
In generale, la circostanza che per una platea – quella degli autonomi – di quasi 5 milioni di persone il decreto destini circa 3 miliardi su 25 – tra l’altro, in una percentuale infinitesimale rispetto al contributo degli stessi alla fiscalità generale – indica chiaramente quale sia la matrice ideologica del provvedimento e di chi lo ha partorito. Dicevamo degli autonomi iscritti agli ordini professionali. Per loro, non è uno scherzo, niente di niente, nonostante il massiccio contributo degli stessi a quelle finanze pubbliche oggi elargite. Figli di un Dio Minore, insomma, e la promessa governativa che anche a loro si provvederà “a babbo morto” con un fantomatico “decreto aprile” e con i soldi di Bruxelles, aggiunge al danno la beffa.
È un fatto, come tale resistente alle opinioni, che lo Stato che trova ingenti risorse da destinare all’eterno carrozzone di Alitalia o, ancor prima dell’emergenza, da devolvere mensilmente a vigorosi giovanotti divano-muniti a mezzo reddito di cittadinanza, non si preoccupa neppure di frugarsi nelle tasche per trovare qualche spicciolo per medici, giornalisti, architetti, avvocatietc etc.. Evidentemente, nella percezione giallo-rossa son ritenuti i “nuovi ricchi” e, perciò, si arrangino.
Mi si dirà: l’attuale maggioranza di governo pensa, innanzitutto, al proprio elettorato di riferimento. Probabilmente è così. Ma attenzione a sottovalutare la protesta che sale dai ceti più produttivi del Paese, specie quando a sorriderne sono coloro confortati da sicurezze frutto di rendite di posizione. Il rischio di una guerra sociale è dietro l’angolo. Sarebbe una guerra senza vincitori, soltanto vinti. Massimiliano Annetta, L’Opinione