Nevada, Trump vince i caucus repubblicani. “The Donald” si impone agli ultimi scettici

donald-trump21LAS VEGAS – Inarrestabile, Donald Trump raccoglie la sua terza vittoria in una primaria per la nomination repubblicana. Vincendo col 43% il caucus del Nevada, The Donald s’impone agli ultimi scettici, costretti a immaginare l’impensabile: cioè che il magnate newyorchese possa davvero essere il candidato che a novembre rappresenterà il Grand Old Party (Gop) nella sfida finale per la Casa Bianca.

Il partito di Abraham Lincoln, di Dwight Eisenhower, ma anche la destra di Ronald Reagan e dei due George Bush, non si riconosce in questo personaggio e si trova di fronte uno scenario inquietante. Trump non è un conservatore classico, cavalca la xenofobia, respinge il liberismo della globalizzazione, vuole costruire Muri fisici contro il Messico e commerciali contro la Cina. E’ stato – forse è ancora – a favore dell’aborto. Si è detto per molti anni democratico. In passato ha finanziato generosamente candidati di sinistra, compresi i coniugi Clinton. E’ stato considerato per molti mesi impresentabile, eccessivo, e gli esperti hanno scommesso a lungo che la sua attrazione spettacolare e mediatica si sarebbe sgonfiata.

Invece la marcia di Trump continua, ora punta dritto verso il Supermartedì primo marzo, quando verranno assegnati quasi un terzo dei delegati. E lui potrebbe quasi blindare la propria candidatura. Anche se nel Supermartedì voterà il Texas, dove è favorito Ted Cruz essendo un senatore di quello Stato. Ma attenzione ai pronostici troppo facili. In teoria avrebbe potuto vincere in Nevada Marco Rubio, che in questo Stato ha vissuto la sua adolescenza e inoltre come figlio di cubani poteva raccogliere ampi consensi tra gli ispanici che sono numerosi qui a Ovest. Invece Rubio si è fermato al 25%. Perfino tra gli ispanici Trump lo ha schiacciato, conquistando il 44% di questi elettori. Proprio gli ispanici che in teoria il magnate newyorchese si sarebbe dovuto inimicare dopo i suoi insulti agli immigrati messicani (“ladri, stupratori”).

Dunque anche il Texas non va dato come un pacchetto di delegati sicuro per Cruz, che in Nevada arriva terzo col 20%. La vittoria di Trump nel Nevada lancia diversi segnali di allarme. Si era detto che qui il formato del caucus, molto caotico, avrebbe favorito chi ha un’organizzazione capillare sul territorio: e questo non è considerato il punto forte di Trump a priori. Sbagliato. Malgrado una capillare presenza di volontari di Rubio – ne ho visti tantissimi per esempio qui a Las Vegas nel seggio elettorale presso la Durango High School sulla West Dewey Drive – alla fine la base ha premiato Trump. Altro dato sconcertante: il caucus del Nevada è arrivato al termine di una settimana ricca di gaffe per Trump. Ha litigato col papa, ha elogiato Putin e Saddam Hussein, ha pasticciato dichiarazioni contraddittorie sulla riforma sanitaria di Obama. Tutte cose che avrebbero affondato dei candidati tradizionali. Ma Trump è inaffondabile: può mentire, può contraddirsi, può pronunciare eresie che per i politici di professione sarebbero imperdonabili. A lui perdonano tutto. Anche troppo.

L’establishment repubblicano è preoccupato, a ragione. Trump sembra in grado di raccogliere una maggioranza di quegli elettori repubblicani che vanno alle primarie (i più militanti o i più arrabbiati) ma i sondaggi rivelano che lui ha anche un alta percentuale di “ostili” all’interno del partito repubblicano, elettoriche forse non lo voterebbero in uno scontro finale con Hillary Clinton. L’establishment sta cercando di compattarsi su Rubio, il più presentabile, il quasi-moderato o il meno estremista. E se fosse ormai troppo tardi? A questo punto non sarà facile fermare la marea-Trump.