Alla vigilia dell’Assemblea generale dell’Onu, il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di vari alleati occidentali scuote la diplomazia internazionale. Ma da Washington arriva una doccia fredda: per gli Stati Uniti si tratta di un atto “puramente simbolico”, lontano da quella che la Casa Bianca definisce “diplomazia seria”.
Un portavoce del Dipartimento di Stato, citato dall’agenzia Afp, ha ribadito le linee guida della strategia americana: “gli obiettivi prioritari sono il rilascio degli ostaggi, la sicurezza di Israele e una pace duratura per la regione, resa possibile solo senza Hamas”.
Al momento a muoversi ufficialmente sono stati Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo, che si aggiungono alla lista di oltre 150 Paesi già riconoscenti la Palestina. Una decisione che ha innescato reazioni contrastanti: da una parte l’entusiasmo del presidente palestinese Abu Mazen, per il quale il passo rappresenta “un progresso importante”; dall’altra l’ira del premier israeliano Benjamin Netanyahu, deciso nel ribadire che “non ci sarà alcuno Stato palestinese”. Ancora più radicali le voci dei ministri dell’ultradestra israeliana Ben Gvir e Miki Zohar, che hanno perfino proposto l’occupazione integrale della Cisgiordania come risposta.
Sul fronte morale, anche Papa Francesco è intervenuto con un nuovo appello per la pace, invocando la fine della violenza e delle sofferenze della popolazione di Gaza. Mentre dal Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha richiamato il messaggio del Capodanno ebraico come segnale per respingere odio e divisioni e promuovere convivenza, solidarietà e rispetto reciproco.
Oggi dunque la questione palestinese approda sul palcoscenico mondiale dell’Onu, tra gesti considerati “simbolici” dagli Usa e scelte politiche che rischiano di ridisegnare equilibri già fragili in Medio Oriente. Domani, intanto, in Italia sono in programma nuove manifestazioni e cortei in solidarietà con Gaza, sotto lo slogan: “Blocchiamo tutto”.