Un’ora e tre quarti faccia a faccia con il mostro che non ti aspetti, cercando una ragione della follia che ha spezzato due giovani vite e gettato un intero paese nel dramma. Così il maresciallo capo Giuseppe Borrello, 40 anni e tre figli, comandante della stazione dei carabinieri di Specchia, nella lunga notte passata in caserma con l’unico indiziato ha cercato di riordinare gli ultimi scampoli di vita di Noemi Durini, portando il giovane fidanzato ad ammettere l’atroce mattanza. Lui, ragazzino violento con un passato già frastagliato da “problemi”, ha confessato ma non si è pentito. Anzi.
«Il ragazzo è stato lucido e chiaro nella ricostruzione dei fatti – ha confermato il maresciallo -. Ma non ha avuto crisi di pianto o momenti di sconforto, dal punto di vista emotivo e di ricostruzione dei fatti non ha evidenziato disagio di tipo psichico».
Freddo e distaccato, anche quando vi ha detto “sono stato io”?
«Nessuna reazione. Per noi è stata una conferma drammatica di quanto avevamo raccolto con le indagini dal giorno della scomparsa».
Cosa lo ha portato a confessare…
«Si sentiva braccato. La pressione psicologica lo ha portato a venire a confidarsi con me.
Cercava qualcuno che lo potesse guidare verso la confessione per liberarsi del peso. Del resto i giornali e l’ opinione pubblica lo avevano indicato come principale sospettato. Aveva paura dell’ arresto. Si è tolto un peso e ha scelto di farlo con chi nei giorni passati lo aveva sentito ma anche consigliato, rassicurandolo che sarebbe stato tutelato in tutti i sensi data la sua giovane età. A quel punto ha parlato…».
Ma con lei non ha fatto lo sbruffone, non si è bullato così come ha invece fatto all’ uscita della Caserma…
«Il ragazzo con me è stato molto tranquillo, remissivo, non ha fatto colpi di testa. Non mi aspettavo questa reazione all’ uscita dalla caserma. Non è stato un bel gesto nei confronti della popolazione. Eppure pochi istanti prima mi aveva fatto intendere che non dormiva da giorni per il peso che nascondeva e la paura di finire in manette. Non ce la faceva più a sopportare un peso simile anche a livello fisico».
Una confessione che tira fuori dai guai il padre, pure lui coinvolto nell’ inchiesta.
«Non ha mai parlato del padre. Per l’ adulto la vicenda sarà magari approfondita dall’ autorità giudiziaria».
La questione che lascia però perplessi è la storia tormentata di questa giovane coppia, dove tutti parevano sapere dei litigi e delle violenze ma in paese nessuno ha mai parlato fino al giorno dopo il dramma. È normale?
«I problemi ci sono stati, è innegabile, ma la comunità ci ha aiutati tanto da ipotizzare il coinvolgimento del giovane».
La famiglia del fidanzato aveva denunciato la ragazza per atti persecutori nei confronti del giovane. La denuncia sarebbe stata fatta alcuni mesi fa e 15-20 giorni dopo quella presentata invece dalla madre di Noemi che accusava il ragazzo di lesioni nei confronti della figlia. Come può una madre tutelare la figlia maltrattata se neppure denunciando il fidanzato manesco si riesce ad avere la giusta serenità?
«La madre ha fatto tutto il possibile per tutelare la giovane. Ma parlare dopo è facile. Certo lui non era un agnello, ha commesso un omicidio efferato senza provare pentimento. Solo quando ci ha portato davanti alla tomba di sassi dove aveva nascosto il corpo martoriato di Noemi l’ ho visto barcollare. Un attimo. Poi è tornato presente e lucido, quasi distaccato».
Specchia come Avetrana?
«Quando muore una giovane il dramma è condiviso dall’ intera comunità. Il paese avrà modo di elaborare il lutto, capendo dove si è sbagliato».
di Giuseppe Spatola, Libero