Non è il momento di restare fermi

Se da un lato è ancora presto per dire che il deserto sociale ed economico del Covid è stato finalmente attraversato, dall’altro il centrodestra sembra avere capito per primo che occorre attrezzarsi per coltivare le terre fertili che grazie alla ripresa si apriranno davanti all’Italia. E per farlo serve una visione meno parziale, un’azione più concordata rispetto all’approccio frastagliato e talvolta conflittuale avuto finora.
L’accelerazione verso una federazione tra Forza Italia e la Lega, alla quale ieri Silvio Berlusconi ha ammesso di «guardare con attenzione», non può che squassare le fondamenta del centrodestra come ai tempi del predellino e della nascita del Pdl. Sono ore di dubbi e malumori: la parte liberale è scettica, i falchi del Carroccio temono la «moderazione», i quadri meridionali azzurri scalpitano, Fratelli d’Italia sospetta manovre ostili. Saranno le prossime settimane, e soprattutto i dettagli della complessa operazione, ancora da definire, a dire se la scossa è destinata a diventare una spinta propulsiva per la coalizione o l’innesco di un big bang.
Nel frattempo, però, questa è l’unica vera novità politica dai tempi della fondazione del Movimento 5 stelle e qualche osservazione si può fare. La prima critica che viene mossa è ovvia: due fragilità non sempre fanno una forza. La Lega attraversa un periodo di debolezza, con il partito di Giorgia Meloni in crescita e ormai a un’incollatura nei sondaggi, però rimane il primo partito. Forza Italia non è certamente al suo apogeo, ma dà segni di ripresa e politicamente svolge un ruolo cardine negli equilibri complessi del governo Draghi. Fragili, ma non troppo. In quest’ottica, una fusione – profonda e di valori, non raccogliticcia – darebbe vita a un soggetto il cui peso in questa strana maggioranza sarebbe decisivo. A gestire la ripartenza ci sarebbero così il Pd nella sua fase isterica tutta ddl Zan e tasse, i 5 stelle nella loro fase implosiva e fratricida e questa nuova formazione, più coesa e nata proprio per sostenere Draghi nella sua opera di rilancio. Non si tratta di ambire a guidare il governo, SuperMario ha già dimostrato di non farsi condizionare dai partiti. Ma l’idea è assicurarsi il sedile accanto al guidatore, quello del navigatore. Non è poco.
Qui si apre la seconda questione, che è genetica. Che dna avrà questa chimera? Chi oggi parla di Anschluss, con una Lega che annetterebbe Forza Italia e la componente berlusconiana destinata a diluirsi, sottovaluta le necessità di Salvini. Che oggi ha assoluto bisogno di due cose: la prima è trovare sponde in Europa, dove il tentativo di federare i moderati con alleati considerati «impresentabili» come AfD e Front National è impossibile, mentre l’ingresso nel Ppe attraverso la «garanzia» di Forza Italia è invece più fattibile. La seconda urgenza della Lega è riagganciarsi agli umori del mondo produttivo, che si è sentito abbandonato soprattutto durante il Conte I. Se nel deserto della crisi si può gridare e aizzare come predicatori, nella campagna di ripartenza bisogna rimboccarsi le maniche e far funzionare le cose come ingegneri e manager. In questo senso, la dote liberale berlusconiana è ossigeno puro, una spintarella verso le imprese del Nord e quella idea di Lega più vicina a Giorgetti e Zaia. Un’«azzurrizzazione» del verde Carroccio, un partito conservatore dinamico. Se così fosse, sarebbe la più considerevole svolta nella strategia di Salvini.
Il terzo aspetto da affrontare è la particolare congiuntura. Da una settimana gli indicatori economici fanno segnare una virata. Le stime sulla crescita del Pil e sull’occupazione, la Borsa tornata a livelli pre Lehmann Brothers e il clima di generale ottimismo legato alle riaperture sono segnali che vanno colti. Un partito salvinberlusconiano potrebbe intestarsi il salvataggio dell’Italia, la fine della pandemia e – cosa da non sottovalutare – una serie di misure elettoralmente molto efficaci, dalle assunzioni ai bonus famiglia. In sostanza è una scommessa su se stessi, sul successo di Draghi e sulla capacità persuasiva della compagine di governo di centrodestra.
Resta poi un ultimo tema, ovvero il ruolo di Silvio Berlusconi. Si dice che in un eventuale nuovo partito unico Salvini sarebbe il segretario e lui il presidente. Sono dettagli. La sostanza è invece la sua capacità di immaginare e provare a plasmare il futuro nonostante il lungo passato alle spalle, a pochi giorni dall’uscita dal periodo più complesso per la sua salute. Qualcuno lo accuserà a torto di aver ceduto le chiavi a Salvini; qualcuno con poca memoria magari abbandonerà perfino la nave. Ma da oggi il quadro politico è cambiato e a rivoluzionarlo è stato il Cavaliere, tornato sotto i riflettori quando per l’ennesima volta tutti lo davano fuori dai giochi, centro di gravità permanente di un centrodestra che ha il coraggio di fare il primo passo verso la ricostruzione.
Sarà in salita, bisognerà superare ostacoli pratici come il dimezzamento dei capigruppo e dei finanziamenti, e trovare una sintesi con Fdi, parte irrinunciabile dell’alleanza. Ma chi non parte non arriva, e non è il momento di stare fermi.


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