Per oltre trent’anni il presepe di Massimo Agostini è stato lì.
Sempre uguale nel senso più nobile del termine: costante, riconoscibile, rispettato.

Mai una polemica. Mai un danno. Mai un gesto ostile.
Poi, improvvisamente, viene distrutto.
Questo è il fatto politico. Tutto il resto è rumore.
Quel presepe non è mai stato una provocazione. Era un gesto silenzioso, comunitario, persino istituzionalizzato nel tempo, raccontato anche da San Marino RTV come parte integrante del Natale sammarinese. Un elemento entrato nella normalità collettiva.
E proprio per questo non era un bersaglio.
Fino a oggi.
Se per decenni nulla accade e poi accade, non è cambiato l’oggetto.
È cambiato il contesto.
È cambiato il clima.
È cambiata la soglia di ciò che qualcuno ritiene legittimo colpire.
Qui non c’è vandalismo casuale. Non c’è alcool. Non c’è noia.
Non c’è nemmeno un movente materiale: nulla è stato rubato.
C’è solo distruzione mirata. Atto simbolico.
Ed è esattamente così che nascono le fratture:prima si delegittima, poi si minimizza, infine si colpisce. Sempre sugli stessi simboli. Sempre con la stessa ipocrisia.
“È solo un presepe” è la frase di chi non vuole vedere.
Perché se fosse stato un altro simbolo, oggi avremmo titoli, prese di posizione ufficiali, indignazione a reti unificate. Qui invece si suggerisce di abbassare i toni. Di lasciar correre.
Ma le comunità non si tengono insieme lasciando correre. Si tengono insieme difendendo le consuetudini condivise.
La reazione dei cittadini è stata immediata e istintiva. Nessun copione, nessuna regia. Sdegno secco. Perché la gente ha capito una cosa semplice: non è stato colpito Massimo Agostini. È stato colpito un pezzo di normalità.
Questo episodio non va drammatizzato, ma nemmeno anestetizzato.
È una rottura, la prima dopo oltre trent’anni. E le rotture, se ignorate, non restano mai isolate.
Il presepe si può rimettere in piedi. Il clima, se si continua a fingere che non esista un problema, molto meno.
Marco Severini – direttore GiornaleSM












