
Non solo Alfredo Cospito: nelle carceri italiane ci sono altri 32 detenuti che attualmente sono in sciopero della fame. Una forma di protesta “autolesionista e abbastanza diffusa”, spiega Daniela De Robert, dell’ufficio del Garante dei detenuti, sottolineando che la quasi totalità degli scioperi durano “per un periodo limitato”. Nello stesso periodo dell’anno scorso, i detenuti in sciopero della fame erano uno in meno rispetto ad oggi, a conferma che si tratta di una modalità diffusa e ripetuta nel tempo, anche prima che la vicenda dell’anarchico in sciopero da 105 giorni finisse sulle prime pagine.
Quando un detenuto inizia lo sciopero, dice ancora De Robert, “bisogna intervenire in maniera adeguata, ad esempio i detenuti devono essere pesati tutti i giorni. E al di là della tutela della salute, bisogna capire le motivazioni, capire se si può dare una risposta e quale, capire se si può intervenire senza cedere”. Che sia una forma di protesta diffusa tra i detenuti per rivendicare quelli che considerano loro diritti, anche se si trovano al 41 bis, lo ribadisce anche il garante dell’Umbria Giuseppe Caforio “Quello allo sciopero della fame è un diritto e come tale va rispettato – dice – ma purché non metta in pericolo la vita del detenuto. Lo Stato non può consentirgli di arrivare fino alla morte e ha gli strumenti per intervenire. Il trattamento sanitario obbligatorio alimentare è uno di questi”.
In Umbria ci sono circa 150 detenuti al 41 bis, reclusi negli istituti penitenziari di Spoleto e Terni. E diversi di loro chiedono l’intervento del Garante. “Si rivolgono a noi – spiega Caforio – soprattutto per questioni sanitarie e le istanze sono cresciute nel post pandemia. E’ difficile curare patologie importanti come può essere un tumore in quel regime di detenzione e altrettanto complicato è un trasferimento in ospedale”. Secondo Caforio il carcere duro “è una forma di detenzione che ha funzionato per certi reati. Ma ha sollevato diversi dubbi e critiche, da organizzazioni umanitarie internazionali, in termini di civiltà giuridica. E’ stata fatta usa scelta, di usarlo per debellare certi fenomeni criminali gravi come mafie e terrorismo”. Ecco perché, conclude Caforio che è avvocato e giurista, il 41 bis “portato all’eccesso in termini di durata, confligge con la funzione rieducativa che deve avere la pena”. “Ci sono dei correttivi che potrebbero essere attuati – ha concluso – magari introducendo sistemi di verifica dopo lunghi periodi di applicazione” del carcere duro.
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