“Non voglio multare le persone ma la lingua italiana va difesa”

«È assurdo etichettare una battaglia per la difesa della lingua italiana come di destra o di sinistra. Negli altri Paesi europei iniziative di questo tipo non hanno colore politico. È nell’interesse della nostra storia e della nostra cultura portarla avanti, ha un valore strategico pure in chiave economica».

Onorevole Rampelli, davvero vuole multare gli italiani che usano termini stranieri?

«Ma figuriamoci! La mia proposta di legge riguarda l’utilizzo di termini stranieri da parte delle istituzioni, della PA, comprese scuole e università, delle società partecipate come la Rai. È un fatto di democrazia, di accesso ai diritti da parte dei cittadini. È doveroso prevedere il diritto alla comprensione. Tanto il legislatore che gli enti pubblici e privati che erogano servizi al cittadino non possono parlare un linguaggio elitario. La democrazia deve essere accessibile a tutti, pure a chi non ha potuto completare gli studi».

Come nasce questa proposta?

«Le proposte innanzitutto sono due e provengono entrambe dalla scorsa legislatura: una prevede l’inserimento della lingua italiana in Costituzione, l’altra declina le modalità per attuare un vero processo di valorizzazione della lingua italiana».

La lingua italiana è davvero un’emergenza?

«Lo è da tempo. Dal 1989 l’avvento della globalizzazione si porta dietro non solo il mercato ma anche la lingua. Il ceppo angloamericano è sempre più dominante, se non si crea una barriera culturale, tutte le lingue madri verranno fagocitate. L’italiano oggi resta la quarta lingua più studiata nel mondo, grazie anche al legame con la Chiesa cattolica. Tutelare la nostra storia linguistica, dal latino a Dante, non significa rinchiudersi in noi stessi, ma difendere un caposaldo della nostra identità culturale».

L’accuseranno di autarchia?

«Studiare le lingue straniere è bellissimo, più lingue si parlano meglio è, ma abbandonare la propria lingua, oltretutto una lingua ricca di bellezza come l’italiano, è sciocco oltre che miope».

L’Accademia della Crusca teme che le sanzioni possano tramutarsi in un boomerang.

«Di norma una legge prevede sanzioni. Credo che eliminare termini come jobs act o spending review non sia un tentativo di riportare in auge antiche abitudini, ma elementare buon senso. Naturalmente se il termine non è traducibile si utilizza la parola straniera, ma il più delle volte è un vezzo anche un po’ provinciale».

Vuole imitare i francesi?

«In Francia è prevista la difesa della lingua in Costituzione, c’è una legge ordinaria sul modello di quella che ho presentato io e una che tutela il diritto alla comprensione delle norme. E se togli i Paesi anglofoni e i multilingue, quasi tutti gli Stati europei hanno la difesa della lingua madre in Costituzione».

Il governo la sosterrà in questa battaglia?

«Il ministro Sangiuliano è d’accordo sulla proposta di iniziativa costituzionale, proposta che venne firmata anche da Giorgia Meloni. Dobbiamo guardare la realtà: l’acquisizione di vocaboli stranieri nel dizionario italiano è talmente compulsiva che, tra qualche decennio, le parole straniere supereranno le parole italiane. E per alcuni linguisti questo diventa il punto di non ritorno che porta alla morte di una lingua. Se non vanno bene le sanzioni ce ne possono essere altre. L’importante è che si faccia una battaglia per difendere l’italiano dal suo appassimento. Oltretutto rafforzare la lingua italiana significa acquisire forza per inserirla nei bandi europei, battaglia che va sempre più perseguita dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea».


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