Nuovo flop di McCarthy alla Camera, ‘sono fiducioso’

Dopo il fallimento della tredicesima votazione in quattro giorni nell’elezione a speaker della Camera degli Stati Uniti, si è cominciata a intravedere una luce in fondo al tunnel. Tanto da far dire a Kevin McCarthy di essere “fiducioso” di avere i voti necessari per farsi eleggere nella seduta che la House ha convocato in tarda serata (alle 22, le 4 di mattina in Italia), alla fine di un’altra giornata tormentata per la politica americana e proprio nel secondo anniversario dell’assalto a Capitol Hill.

 Mentre all’esterno del Congresso sono stati celebrati “gli agenti eroi” che quel giorno hanno difeso la democrazia Usa dall’insurrezione, all’interno è andato in scena lo psicodramma di un Grand old party sempre più lacerato con il californiano che è riuscito a recuperare il voto di 15 dissidenti ultraconservatori su 20. Un parziale successo frutto di negoziati febbrili e, secondo fonti informate, di nuove concessioni ai ribelli pur di ottenere l’agognata nomina. In particolare, McCarthy avrebbe promesso un taglio alle spese per la difesa da 75 miliardi di dollari proprio nel giorno in cui l’amministrazione di Joe Biden ha annunciato un nuovo ingente pacchetto di armi da 3 miliardi di dollari all’Ucraina. L’intesa a cui si lavora è quella di mettere un tetto alle spese del governo per il 2024, fermandole ai livelli del 2022.

La spesa nazionale per la difesa nell’esercizio fiscale 2022 era di 782 miliardi ed è salita di 75 miliardi l’anno successivo a 857 miliardi. Una proposta, discussa in una telefonata tra McCarthy e i colleghi del suo partito nelle ultime ore, che andrebbe incontro a uno dei leader della fronda, Matt Gaentz, ma incontrerebbe l’opposizione dei falchi della difesa del partito repubblicano che premono per un aumento del budget in chiave anti-Cina e anti-Russia. Sta di fatto che alla dodicesima votazione per la prima volta McCarthy, con 213 voti, aveva ottenuto più del candidato democratico Hakeem Jeffries a sostegno del quale il partito è rimasto compatto sin dall’inizio del processo elettorale. Non i 218 necessari per essere eletto speaker ma un passo avanti in quella direzione. Un risultato replicato, con un voto in più, anche nella tredicesima votazione. “Sono fiducioso di avere i voti necessari per farcela. Sarò eletto questa sera. Come diceva mio padre: non è importante come si inizia, ma come si finisce”, ha dichiarato poi con ottimismo McCarthy dopo che la Camera ha deciso di aggiornare la seduta alle 22.Tra i quindici ribelli del Grand old party che hanno votato per lui c’è uno dei leader, Chip Roy, che ha probabilmente trainato anche gli altri.

D’altra parte finora il californiano ha concesso tanto al manipolo di suoi oppositori pur di ottenere il loro sostegno, accettando di consentire a un singolo deputato di chiedere un voto di sfiducia per cacciare lo speaker; dare al Freedom Caucus, l’ala destra del partito, un terzo dei membri della potente Rules Committee, la commissione che controlla quali leggi arrivano in aula e in che forma; votare sulla proposta di limiti di mandato e sulla legge per la sicurezza dei confini. Il californiano ha promesso inoltre che il suo comitato elettorale non si intrometterà in primarie considerate ‘sicure’.

Concessioni che, tutte insieme, non fanno altro che indebolire il ruolo dello speaker.
   


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