I punti salienti del discorso: «Voi avete cambiato il mondo, ma l’economia non cresce ancora abbastanza da sostenere la classe media»; «No alla discriminazione dei musulmani in America»; «Serve un’America giusta, inclusiva» e «l’Isis verrà sconfitta se non tradiremo nostri valori». E promette: «Non mi fermo, da cittadino lotterò con voi»
L’America di Barack Obama esce di scena alle 21.54 di martedì 10 gennaio, nel Centro congressi di Chicago. Il presidente ha appena terminato un discorso destinato a restare nella storia, comprese le lacrime che accompagnano l’emozionato elogio di Michelle, e poi delle figlia Malia (presente) e Sasha, del vice Joe Biden.
Speranza, impegno, inclusione e solidarietà
Non solo un bilancio, non solo un manifesto politico. Ma piuttosto un appello caldo, rivolto, con il senso dell’urgenza, a tutti i «cittadini» degli Stati Uniti: la partecipazione, la speranza, l’impegno, l’inclusione, la solidarietà hanno reso grande l’America. Potrà essere così in futuro: «Yes we can», sono le ultime parole. Le stesse con cui ha cominciato, proprio qui, in questa arena di Chicago, l’avventura da primo presidente afro americano. Sono tanti i passaggi a effetto, le frasi che hanno entusiasmato i sostenitori. Quello forse più applaudito: «Io respingo ogni discriminazione contro i musulmani americani». E quello probabilmente più profondo: «La Costituzione è un grande dono che ci hanno fatto i nostri Padri fondatori, ma è un pezzo di carta: sono il nostro impegno, la fede nei nostri valori che le danno forza e rendono questo Paese il più rispettato del mondo».
I risultati: dal lavoro alle aperture a Cuba e all’Iran
Obama ha certamente ricordato i risultati della sua lunga stagione. I posti di lavoro creati, l’economia uscita dalla recessione, l’aumento dei salari, la diminuzione della povertà, l’uccisione di Osama Bin Laden, «l’apertura di un nuovo capitolo» con Cuba, l’accordo sul nucleare con l’Iran. «Se vi avessi detto otto anni fa che avremmo fatto tutto ciò, mi avreste detto: ehi abbassa un po’ le pretese. E invece lo abbiamo fatto. Anzi lo avete fatto tutti voi».
No ai fischi per Trump, «transizione pacifica»
C’è ancora molto lavoro da fare, un lungo cammino: sull’economia, sulla questione razziale, che «resta ancora viva» nelle scuole, nel sistema giudiziario del Paese. «Tra pochi giorni arriverà un altro presidente alla Casa Bianca». La platea fischia, è pronta a scatenarsi per sbeffeggiare Donald Trump. Ma Obama alza un braccio e dice cinque volte «no»: «Una delle grandi forze della nazione è la capacità di trasferire pacificamente il potere da un presidente all’altro».
La difesa dell’Obamacare per 20 milioni di malati
Tutti, però, sugli spalti e in televisione, vogliono sapere che cosa succederà quando Donald Trump prenderà possesso dello Studio Ovale. E solo apparentemente Barack Obama sfiora l’argomento. Quando difende la riforma sanitaria, «che ha dato copertura ad altri 20 milioni di cittadini», e che Trump vuole cancellare fin dal primo giorno alla Casa Bianca; quando rilancia il «no» alla tortura; quando ricorda i progressi sul «climate change», Obama fa emergere sul palco, quasi scavando con le parole, le radici, i valori fondanti degli Stati Uniti.
Gli stereotipi contro immigrati e l’inclusione che compatta
Ricorda come «gli stereotipi sugli immigrati e i profughi di oggi siano gli stessi che venivano usati cento anni fa con gli irlandesi, gli italiani, i polacchi». Ma quegli antichi immigrati «abbracciarono i valori americani e rafforzarono, non indebolirono gli Stati Uniti». L’inclusione, la comprensione, la fiducia reciproca: questi sono i «fili nascosti» che compattano la Nazione. Il presidente ricorre solo a due citazioni. La prima: il libro Il Buio oltre la siepe, il suo preferito in gioventù come ebbe a dire l’anno scorso, quando morì l’autrice Harper Lee. «Non capirai mai una persona fino a quando non guardi le cose dal suo punto di vista»: è una battuta di Atticus Finch, l’avvocato dell’Alabama, l’eroe del romanzo. E poi, non a caso, l’invito alla solidarietà tra le persone di George Washington, il primo presidente, il padre fondatore che dà il nome alla capitale e che compare sulla banconota da un dollaro: la più umile, la più comune.
Il rischio di un Paese che fa il bullo coi vicini
E’ questa l’America di Obama. Quella che sarà «in grado di sconfiggere l’Isis», quella che non sarà mai raggiunta «da Paesi rivali come la Cina o la Russia». A meno che «non siamo noi ad abbandonare ciò in cui crediamo e ci trasformiamo in un altro grande Paese che fa il bullo con i vicini più piccoli». E’ questo l’avviso, il messaggio a Trump e ai suoi sostenitori. Se dimentichiamo le nostre origini, ci perderemo. Ecco la minaccia più grande alla democrazia americana.
Michelle, l’amica, e Biden, «mio fratello»
Obama chiude con le emozioni e l’ottimismo. Si rivolge direttamente alla moglie: «Michelle, tu hai accettato questo incarico che non avevi chiesto con grazia e umanità. Mi hai reso orgoglioso; hai reso orgoglioso il nostro Paese. Sei non solo mia moglie, la madre dei miei figli, ma la mia migliore amica». Poi Malia e quindi, guardando Biden: «Con te ho guadagnato un fratello». Sarebbe un finale melodrammatico e allora ecco la virata sui giovani: «Siete curiosi, intelligenti, siete generosi, siete dei patrioti. Volete un’America giusta, inclusiva. Quando vi vedo in ogni angolo del Paese, penso che il nostro futuro sia in buone mani, che continueremo a essere una grande Nazione. Yes, we can; yes, we can; yes, we can». Ripetuto tre volte: sì, possiamo farlo. Corriere.it