Nel 1992 Craxi voleva tornare nella stanza dei bottoni, dove era stato dal 1983 al 1987, lasciando poi spazio alla Dc in virtù del famoso “patto della staffetta” deciso con il segretario della Dc Ciriaco De Mita. La maggioranza di governo in quegli anni si reggeva sull’asse Dc-Psi, con il sostegno di altre forze minori (Psdi, Pli e fino al 1991 anche il Pri), dunque a muovere le danze erano i due azionisti principali. Le elezioni del 5 aprile segnarono una lieve battuta di arresto per la maggioranza, che ottenne il 48,85% alla Camera (331 deputati) e il 46,22% al Senato (163). I numeri per governare ci sarebbero stati, ma lo scopio di Tangentopoli minava le fondamenta della vecchia classe politica, mettendo tutto in discussione, un avviso di garanzia dopo l’altro. Al nuovo Parlamento appena insediatosi toccò il compito di scegliere il presidente della Repubblica, dopo le dimissioni di Cossiga. Si prosusse una grave situazione di stallo tra le forze politiche, che non risucivano a decidere come sbloccare la situazione individuando l’uomo da far salire sul Colle. Alla fine la spuntò il presidente della Camera, il democristiano Oscar Luigi Scalfaro.
Oggi, a distanza di quasi trent’anni, Achille Occhetto, all’epoca segretario del Pds (partito nato dalle ceneri del Pci), ci tiene a far sapere la sua versione dei fatti. Dalle colonne del Corriere racconta che Craxi avrebbe messo nel proprio mirino lo scranno più alto del Paese. Parte da una cosa letta centinaia di volte: “Al centro delle prime votazioni c’erano le ambizioni contrapposte di Forlani e di Andreotti in cui cercò di insinuarsi senza molto successo lo stesso Craxi”. Che i due leader della Dc avessero quella ambizione è cosa risaputa. Che ce l’avesse anche Craxi fino ad ora non era emerso. Si è sempre saputo che tra le ambizioni del leader del Psi ci fosse quella di tornare a governare il Paese, ovviamente se avesse ottenuto i numeri necessari per farlo. Occhetto, invece, prova a scrivere un’altra storia.
“Partecipai a molte riunioni con Craxi – racconta l’ex segretario Pds – quando vide che né Andreotti né Forlani ce l’avrebbero fatta pensò di poterci provare lui anche se continuava a fare nomi di altri socialisti, ma erano tutti ballon d’essai… Fu un braccio di ferro estenuante dominato dalle scheda bianche e dai franchi tiratori. Scalfaro non era assolutamente all’orizzonte, io avevo cominciato ad apprezzarlo per un vibrante discorso che aveva fatto pochi giorni prima alla Camera sulla questione morale: si era all’alba di Mani Pulite. A un certo punto però Scalfaro fu candidato dal più laico dei laici, cioè Pannella, ma nelle prime elezioni prese soltanto sei voti”. Occhetto ha il buon gusto di fare il nome del vero ‘king maker’ dell’elezione di Scalfaro: il leader dei radicali Marco Pannella, che avrà avuto molti difetti ma sapeva avere grandi intuizioni politiche.
L’ex leader della Quercia (simbolo del Pds, ndr) non perde troppo tempo prima di riprendersi il merito della scelta che sbloccò l’impasse:“In questo caos noi non potevamo assolutamente votare per Andreotti ma nemmeno per Forlani che era la personificazione del pentapartito, cioè la cittadella mummificata che si fondava sull’esclusione teorizzata dei comunisti dall’area di governo, e quindi il mio obiettivo era prima di tutto quello di scardinare quella cittadella. Volevo trovare un outsider”.
L’attentato al giudice Falcone (23 maggio 1992) accelerò le votazioni. “Fu un fatto decisivo”, spiega Occhetto. “Non potevamo continuare a dare lo spettacolo di un Parlamento impotente che non riusciva a eleggere il presidente. Le lotte contrapposte furono archiviate e vennero fuori due ipotesi: quella di votare per il presidente della Camera, cioè Scalfaro, o per il presidente del Senato Giovanni Spadolini”. Il Pds pur essendo diviso al proprio interno scelse di convergere sul dc Scalfaro. Occhetto spiega così: “Parlai con Spadolini, gli dissi che sarebbe stato un ottimo presidente, ma aggiunsi: ‘Temo che se noi puntiamo su di te siamo sconfitti e se siamo sconfitti rafforziamo Andreotti, Forlani e Craxi'”. Il grande nemico, dunque, era il Caf (l’asse Craxi, Andreotti, Forlani), che da un decennio decideva le sorti politiche dell’Italia. La scelta dunque cadde sul “supercattolico” Scalfaro, che per farsi sostenere promise a Occhetto di essere fermamente degasperiano: “La Chiesa è la Chiesa, lo Stato è lo Stato, non ci deve essere e non ci sarà nessuna commistione”.
“L’elezione del capo dello Stato – conclude Occhetto – è simile alla morra cinese: io metto la pietra per spuntare le forbici, poi c’è un altro che mette la carta per coprire la pietra. Ci sono elementi imponderabili dentro i quali però c’è sempre il filo rosso della politica”.
Già, la politica è alla base di tutto. E va persino oltre agli ideali. Altrimenti non si spiegherebbe per quale ragione il Pds appena nato chiese di aderire all’Internazionale Socialista, cosa che avvenne nel settembre 1992 con il beneplacito di Bettino Craxi. Due mesi dopo il Pds partecipò alla costituzione del Partito del Socialismo Europeo. Liquidati i socialisti in Italia, con l’inchiesta che avrebbe spazzato via tutti i partiti della maggioranza, l’obiettivo degli ex comunisti era occupare il loro posto nella storia.
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