La libertà di stampa, pilastro delle società democratiche, garantisce ai giornalisti il diritto di informare il pubblico su fatti di interesse collettivo. Tale diritto, tuttavia, non è illimitato e incontra confini precisi, spesso oggetto di dibattito e controversie. Il recente caso che ha coinvolto il principe Harry e le testate del gruppo Murdoch, con le scuse formali per le intrusioni illecite nella sua vita privata, ripropone con forza la questione dei limiti dell’attività giornalistica, in particolare quando si sconfina persino nell’investigazione privata e nell’illecito. Se è innegabile il ruolo cruciale della stampa nel portare alla luce scandali e abusi di potere, è altrettanto fondamentale distinguere tra un’inchiesta giornalistica legittima e un’attività che travalica i confini della legalità e dell’etica.
Il diritto insopprimibile e dovere di cronaca, tutela la diffusione di notizie verificate e di pubblico interesse. Esso si fonda su tre elementi cardine: la verità oggettiva dei fatti narrati, l’interesse pubblico alla loro divulgazione e la continenza espressiva, ovvero la correttezza formale dell’esposizione. Quando uno di questi elementi viene meno, la libertà di stampa si trasforma in reato. L’utilizzo di metodi investigativi illeciti, come l’intercettazione telefonica non autorizzata o la violazione della privacy attraverso l’impiego di investigatori privati, non può essere giustificato in nome del diritto di cronaca. Tali pratiche, oltre a configurare veri e propri reati, ledono diritti fondamentali della persona, come la riservatezza e la dignità. La ricerca della verità, per quanto nobile, non può giustificare la violazione della legge.
Il caso del principe Harry evidenzia una deriva preoccupante, in cui la ricerca dello scoop sensazionale sembra prevalere sul rispetto delle regole e dei diritti altrui. L’ammissione di “attività illecite condotte da investigatori privati che lavoravano per The Sun” contenuta nelle scuse del gruppo Murdoch è un’eloquente testimonianza di questa degenerazione. Non si tratta più di giornalismo d’inchiesta, ma di un’attività spionistica che nulla ha a che vedere con la funzione informativa della stampa. La distinzione non è cosa da poco e il giornalista ha dei doveri deontologici non negoziabili nel nome di una ossessiva ricerca di notizie esclusive, o di una competizione spietata per aumentare le vendite. Un’informazione ottenuta con mezzi illeciti perde ogni valore informativo e si trasforma in mero sensazionalismo, dannoso non solo per le vittime di tali intrusioni, ma per l’intera società. L’impunità di tali comportamenti rischia di creare un pericoloso precedente, legittimando pratiche che minano la fiducia del pubblico.
È necessario fare autocritica. La libertà di stampa non è un diritto assoluto e la ricerca della verità non può essere disgiunta dalla correttezza dei metodi impiegati. Occorre allora ristabilire una netta linea di demarcazione tra giornalismo d’inchiesta e attività investigative illegali. Superare il confine tra informazione e dossieraggio significa tradire la missione stessa del giornalismo, trasformandolo in uno strumento di potere incontrollato. Un simile travisamento non solo offende la deontologia professionale, ma discredita l’intero sistema informativo, aprendo la strada a derive autoritarie.
David Oddone
(La Serenissima)