Padre Gratien Alabi resta in carcere. L’ex vice parroco di Ca’ Raffaello, accusato dell’omicidio volontario di Guerrina Piscaglia (scomparsa dal paesino dell’alta Valmarecchia, il 1° maggio 2014) di occultamento e distruzione di cadavere, non può andare agli arresti domiciliari nel convento dell’ordine premostratense a Roma. Almeno fino a quando non sarà finalmente arrivato il braccialetto elettronico, ancora introvabile in tutta Italia, che dovrà controllare telematicamente ogni suo spostamento.
La decisione è stata presa dalla Corte d’Assise, martedì nel tardo pomeriggio, quando ha rigettato l’istanza del collegio difensivo del frate. I legali di Gratien, Francesco Zacheo, Riziero Angeletti e Sergio Novani, chiedevano di far lasciare al religioso il carcere, anche senza il braccialetto. Contro questa richiesta si era pronunciata l’accusa, con il pm Marco Dioni, opponendo due motivazioni: da un lato l’inammissibilità del ricorso per difetto di notifica, dall’altro la ripulsa nel merito.
Padre Alabi, dicono i suoi legali, è vittima di una situazione paradossale: doveva lasciare la cella più di dieci giorni fa e si trova ancoradentro perché il braccialetto, che dovrebbe controllarlo a distanza con rete gsm, non c’è: lo Stato li ha tutti esauriti. «Si gioca sulla pelle delle persone – affermano i difensori che hanno già inviato una lettera di protesta al Ministero degli interni e al premier Matteo Renzi – e sui loro diritti inviolabili».
Ora gli occhi sono tutti puntati su domani: proprio nel giorno del compleanno di padre Gratien riprenderà il processo per la prima vera udienza. Il processo in assise dovrà stabilire se il frate è o meno l’assassino di Guerrina. Sarà un processo pieno zeppo di testimoni (oltre un centinaio quelli che dovranno essere ascoltati in aula nel corso delle settimane), ma senza un cadavere: la mamma di Ca’ Raffaello è letteralmente sparita nel nulla in appena 500 metri di strada. Il Resto del Carlino
