«Aveva paura dello scandalo. Per questo padre Gratien Alabi ha ucciso Guerrina Piscaglia». In oltre duecento pagine, la Corte d’Assise di Arezzo motiva la sentenza con la quale ha condannato il religioso congolese a 27 anni di carcere. In sostanza, secondo la Corte, la donna, riminese, non si è allontanata e non si è suicidata, ma è stata uccisa. E a farlo è stato proprio l’ex vice parroco di Ca’ Raffaello. Le motivazioni confermano in pieno il quadro accusatorio tratteggiato dal pm Marco Dioni. Secondo i giudici il sacerdote sentiva minacciata la sua onorabilità e la sua dignità di prete. Quel primo maggio del 2014, giorno della sparizione, il congolese ha agito d’impulso dopo un incontro con la casalinga che doveva essere chiarificatore. Invece ha innescato il delitto. Viene escluso qualsiasi tipo di premeditazione. Per l’Assise quel giorno la Piscaglia, innamorata in modo «sofferente e anomalo» chiede di vedere Gratien, ma una volta insieme il prete si sente in pericolo (è lui a raccontare negli interrogatori che lei voleva che lasciasse l’abito, ndr) e ha una reazione impulsiva e violenta.
La Corte conferma gli indizi che hanno portato alla condanna, dal numero vertiginoso di messaggi e chiamate poi precipitate dopo il 1° maggio, tra Alabi e Guerrina, alla vicinanza delle celle telefoniche dei loro cellulari dopo la giornata fatale. Fino ai tentativi di depistaggio, che anche la Corte individua nella figura di zio Francesco e nelle altre ipotesi indicate, come la presunta fuga con un marocchino. I giudici non hanno dubbi sul fatto che sia stato padre Alabi a scrivere certi sms partiti dal cellulare di Guerrina così come è stata inventata da lui la figura di zio Francesco. E poi, per i giudici, l’indole di Alabi è quella di dire falsità, come nel caso degli incontri amorosi con le prostitute che lui nega. Smontati come inattendibili gli avvistamenti della donna dopo l’ora del delitto da parte di residenti fra Ca’ Raffaello, Molino di Bascio e Novafeltria.
I giudici poi rincarano la dose: «Padre Gratien non merita attenuanti per le condotte tenute prima e dopo il grave fatto e perché non ha collaborato». Fin qui la sentenza di primo grado. Ora la difesa è già al lavoro per presentare il ricorso in appello. Alabi si trova nel convento premostratense di Roma agli arresti domiciliari con cavigliera elettronica. I familiari della Piscaglia, a partire dal figlio Lorenzo e dal marito Mirco Alessandrini, continuano a chiedere la verità. E sperano di poter sapere da Alabi dove si trova il corpo di Guerrina. Il Resto del Carlino
