“Pagano le pensioni e fanno figli, si ai migranti”. Le ragioni economiche di Angela: Germania vecchia, servono braccia

MerkelDIAVOLO di una Merkel, sugli immigrati ha spiazzato tutti. Perfino il Papa: Francesco ha aperto le parrocchie ai rifugiati, lei ha spalancato le frontiere ai profughi siriani. Berlino accoglierà mezzo milione di rifugiati l’anno. Non c’è male per una donna che fino a ieri, in Europa, era considerata come il simbolo dell’egoismo, accusata di proteggere a colpi di austerity e di rigore l’economia della ricca Germania a scapito della povera Europa del Sud. Ma attenti, la giravolta non nasconde alcuna conversione. Vediamo perché.
Un popolo che invecchia. Gli economisti lo ripetono da tempo: nel sempre più ‘vecchio’ Continente gli immigrati sono una risorsa e non un problema. Questo è vero soprattutto per la Germania che ha la popolazione più anziana d’Europa ed è seconda al mondo per basso tasso di natalità (solo 8 neonati ogni mille abitanti). Di questo passo, entro il 2050 ci saranno 12-14 milioni di tedeschi in meno. Una cifra destinata a raddoppiare nel 2100. Ma, già nel 2020, per le esigenze produttive, la Germania avrà bisogno di almeno 1,7 milioni di immigrati. Si capisce, allora, che c’è un interesse non solo umanitario ma anche economico. In Gran Bretagna già oggi gli immigrati contribuiscono all’1% del Pil. In Germania la cifra potrebbe presto essere maggiore. Un dato per tutti: solo nel 2014 la Merkel ha accolto 400mila stranieri ‘permanenti’ e ha conquistato il secondo posto nel mondo, dopo gli Usa, nella classifica dei flussi migratori.
Pensioni da salvare. Se c’è una cosa che gli europei difendono a denti stretti, più della moneta unica, è l’attuale sistema di welfare, fatto di sussidi e di pensioni. E i contributi che verseranno gli immigrati saranno fondamentali per mantenere in equilibrio il sistema. Attualmente ci sono circa 4 lavoratori per ogni pensionato. Fra trent’anni la media si abbasserà bruscamente: 2 a 1. Ma in Germania il rapporto sarà ancora più basso: 24 milioni di pensionati rispetto a 41 di lavoratori attivi. Un record in Europa. Per questo i contributi dei giovani immigrati saranno essenziali per evitare scenari più cupi: il taglio delle prestazioni previdenziali o, peggio ancora, un aumento delle tasse.
In cerca dei cervelli che mancano. Alla fine degli anni Ottanta il cancelliere Helmut Kohl aveva alzato la guardia contro i nuovi ingressi nel Paese: «La Germania non è e non potrà essere in futuro un Paese di immigrati». Venticinque anni dopo la situazione è completamente cambiata. Ma, rispetto agli altri, il Paese si è mosso, per così dire, in maniera «selettiva». Negli anni Cinquanta, durante la prima ondata delle migrazioni, arrivavano nel Paese i cosiddetti Gastarbeiter, i lavoratori ‘ospiti’, senza grandi professionalità e con basso grado di istruzione. Oggi la Germania offre corsi di formazione linguistica, centri di accoglienza attrezzati, norme più semplici per ricongiungimenti e cittadinanza. Una politica studiata ad hoc per attrarre manodopera specializzata. Non è un caso se, per sostenere l’ondata di nuova migrazione, la Germania abbia stanziato circa 6 miliardi di euro, un quarto di punto di Pil. Ben sapendo che, con i nuovi ingressi, il saldo sarà ancora una volta positivo.

Fonte: RESTO DEL CARLINO