Sette ore di assedio, la resistenza durissima, con raffiche di Ak-47, lanci di granate, dei terroristi. Poi l’esplosione della kamikaze, il pavimento del covo che crolla al piano inferiore, il fumo, i detriti, il silenzio di morte. La scoperta, grazie ad un robot mandato in avanscoperta, di un corpo crivellato di colpi. Sepolto sotto pezzi di cemento, legni, ferri, tegole, mattoni.
Sette ore di assedio, la resistenza durissima, con raffiche di Ak-47, lanci di granate, dei terroristi. Poi l’esplosione della kamikaze, il pavimento del covo che crolla al piano inferiore, il fumo, i detriti, il silenzio di morte. La scoperta, grazie ad un robot mandato in avanscoperta, di un corpo crivellato di colpi. Sepolto sotto pezzi di cemento, legni, ferri, tegole, mattoni.
Strage di Parigi, le urla poi l’esplosione: la kamikaze del blitz di Saint Denis.
Una scoperta, una conferma: la soffiata era giusta, Abdelhamid Abaaoud, 27 anni, francese residente in Belgio, di origini marocchine, il regista della strage di Parigi, era asserragliato nel covo di Saint Denis. Manuel Valls lo annuncia in Parlamento tra gli applausi dell’emiciclo.
Ma è un annuncio che lascia anche l’amaro in bocca: come è stato possibile che un latitante così pericoloso e noto a tutte le intelligence sia stato in grado di tornare in Europa. In Francia. Dalla Siria, attraverso decine di frontiere, lungo un percorso controllato e vigilato negli ultimi mesi visto l’enorme flusso di immigrati e rifugiati che dalla vecchia Mesopotamia in fiamme muovono verso il nord Europa.
desso si conoscono meglio modalità e dettagli di quella che è stata una battaglia decisiva per annientare il feroce commando del massacro di venerdi 13 novembre. Li svela uno dei partecipanti. Un alto dirigente del servizio antiterrorismo, presente la notte tra martedì e mercoledì nel quartiere periferico a nord di Parigi.
“La segnalazione – racconta l’investigatore – era esatta. Cercavamo il regista e c’erano molti indizi, incrociati e verificati, che potesse essere in quell’appartamento. Decidiamo di intervenire subito. E’ un quartiere popoloso, con lavori e abitudini diverse. C’è chi rimane sulle strade fino a tardi e chi si alza presto per andare al lavoro. Il blitz scatta alle 4.16. Cerchiamo l’effetto sorpresa. I cecchini e gli altri uomini delle teste di cuoio sono piazzati sui tetti del palazzo di fronte e in quelli vicini. Tutta la zona è blindata. Non esce ed entra nessuno”.
“Saliamo al secondo piano, troviamo la porta blindata e piazziamo delle cariche per buttarla giù. L’esplosione può prendere alla sprovvista la gente all’interno. Il tempo sufficiente a entrare e impedire una reazione. Ma la porta resiste. Non viene giù. Torniamo indietro, lentamente, protetti da una grossa parete in acciaio munita di rotelle. Alle 4.54 dall’interno escono sul pianerottolo in quattro, iniziano a fare fuoco. Sparavano all’impazzata. Gente allenata, decisa, motivata. Raffiche continue e poi colpi singoli per risparmiare i proiettili. Lo scontro dura mezz’ora. Intenso e violento. Poi arretrano e si chiudono dentro. Il silenzio”.
“Ma era solo l’inizio. Dall’interno ci lanciano tre-quattro granate. Alcuni agenti vengono feriti alle gambe e alle braccia dalle schegge. Seguono dei tiri sporadici, sempre singoli. Spediamo un cane verso l’ingresso della porta. E’ Diesel, lo falciano con una sventagliata. segue un’altra lunga raffica di Ak-47 e poi delle grida e una fortissima esplosione”.
Corriere della Sera