Palestina, Sondaggio Al Jazeera: il 60% dei palestinesi vuole Hamas. San Marino ha riconosciuto uno Stato del terrore?

A volte, la realtà si presenta con il garbo di un cazzotto sui denti. E ha il potere taumaturgico di risvegliare anche le menti più intorpidite dal dolce oppio del buonismo, del politically correct. L’ultimo ce l’ha servito su un vassoio d’argento nientemeno che Al Jazeera, la CNN in salsa qatariota che di certo non si può accusare di simpatie sioniste. Un sondaggio, fresco di stampa e certificato in Cisgiordania e a Gaza, ci offre una fotografia che farebbe impallidire persino i registi dell’horror più splatter: oggi, sei palestinesi su dieci tifano per Hamas.

Avete capito bene. Non un vago malcontento, non un desiderio di cambiamento. Un tifo da stadio per l’organizzazione che ha trasformato la mattanza di civili in un progetto politico e il 7 ottobre nel suo giorno di gloria. E mentre il 60% sceglie il kalashnikov, il nostro rassicurante interlocutore “istituzionale”, il decrepito Mahmoud Abbas, viene accompagnato alla porta dall’80% del suo stesso popolo, che evidentemente lo considera troppo poco “energico” nella gestione della pratica israeliana. In pratica, il sondaggio di Al Jazeerra, certifica un plebiscito per il terrore.

Ora, proviamo a fare un esercizio di fantasia, uno di quelli che riescono tanto bene agli attuali politici biancazzurrri quando devono ignorare i fatti. Immaginiamo che domani, con un colpo di bacchetta magica dell’ONU, nasca davvero – anche sul mappamondo – lo Stato di Palestina. Che creatura “meravigliosa” vedrebbe la luce? Stando alle urne (che, ricordiamolo, sono la democrazia, bellezza!), nascerebbe il primo Stato al mondo il cui mandato popolare è sterminare il vicino… Quasi – o forse peggio – un Afghanistan sul mare, con le spiagge al posto delle montagne e i razzi Qassam al posto dei papaveri da oppio. Uno “Stato-Islamico” simile a quello testato in Siria dall’ISIS, ma in questo caso pronto a chiedere fondi alla comunità internazionale per finanziare, democraticamente, la prossima mattanza. Sublime.

E in questo quadretto idilliaco, dov’era l’amata Repubblica del Titano? Ah, già. Era in prima fila, a spellarsi le mani. Con una mossa la cui genialità strategica è seconda solo a quella di chi compra un ombrello durante un’alluvione, il Consiglio Grande e Generale – all’unanimità dei suoi “Sessanta” – ha riconosciuto in via unilaterale questo capolavoro in divenire. Un atto che, come scrivevo all’epoca, era un “cazzotto alla pace”. Oggi, alla luce di questi numeri, suona più come il brindisi di chi festeggia l’assunzione di un piromane come capo dei vigili del fuoco.

I soliti “chierichetti in saio rosso” – sempre pronti a scambiare la neutralità per un pugno di like sui social – hanno compiuto il loro capolavoro di idealismo performativo.

Ma non sono qui a ricordarvi che “ve lo avevo detto”! Il mio obiettivo non è crogiolarmi, ma alimentare la razionalità, il buonsenso, la responsabilità del buon padre di famiglia in una comunità minacciata, ogni giorno di più, fin nelle sue millenarie Istituzioni democratiche, da un buonismo retorico quanto pericoloso… Non sono qui – dicevo – per dirvi “ve lo avevo detto”, ma per ricordarvi – oggi con dati concreti (il sondaggio) e non ragionamenti logici, che la vostra San Marino non ha riconosciuto un popolo, ma ha applaudito alla propria immagine riflessa nello specchio degli ipocriti. Il voto dei sessanta e l’iniziativa orgogliosamente annunciata dal Segretario di Stato agli Affari Esteri, Luca Beccari, all’ONU nel vuoto dell’aula, ha steso il tappeto rosso, ma alla fine della gloriosa passerella non compare un leader moderato, bensì un boia con la kefiah. Il riconoscimento, così, si è rivelato un autogol così colossale che meriterebbe il pallone d’oro…

E che nessuno si illuda di poter fare marcia indietro. In diplomazia, come nella vita, certi errori si pagano per sempre. Il riconoscimento di uno Stato, una volta concesso, è come un tatuaggio fatto in “Una notte da leoni” a Las Vegas: non si cancella con un colpo di spugna. San Marino ha legato la sua credibilità a una nave che, come dimostrano i fatti, imbarca acqua e ha per capitano un pirata… E il capitano, si sa, se non “guida” la Costa Concordia, deve “affondare” con la nave. L’idea di un “de-riconoscimento” è solo teoricamente percorribile, non è politica: è fantascienza. Significherebbe un suicidio diplomatico, l’isolamento totale e la trasformazione della Repubblica in barzelletta internazionale, capace di irritare in un sol colpo oltre 50 stati del mondo arabo e musulmano. Il Titano ormai è incastrato, prigioniero della sua stessa genialata buonista. L’errore non è stato solo grave, è stato, nella pratica, irrimediabile.

Sia chiaro, per i palati meno avvezzi al pensiero complesso: essere razionali non vuol dire essere “contro i palestinesi”. Al contrario, significa augurare loro qualcosa di meglio che diventare cittadini di una teocrazia assassina in guerra perenne. Significa pretendere che uno Stato, prima di esistere, abbia i requisiti minimi di civiltà: una leadership che non consideri l’omicidio di massa un’opzione sul tavolo e una società che non veda nel martirio l’unica aspirazione per i propri figli.

Oggi, chiedere uno Stato palestinese “subito” è come dare le chiavi di un’auto da corsa a un ubriaco. Non lo stai aiutando, lo stai condannando a schiantarsi.

La pace, quella cosa noiosa e difficile che non fa titoli sui giornali, non si ottiene sventolando bandiere dal balcone, sfilando sul Pianello, sfidando navi da guerra con barchette a vela, o votando mozioni per sentirsi virtuosi. Quella è la politica in versione reality show. La pace si costruisce guardando la bestia negli occhi. E oggi la bestia, certificata da un sondaggio arabo, ci dice che il popolo palestinese, nella sua maggioranza, ha scelto il terrorismo e la guerra.

Aver riconosciuto uno Stato in queste condizioni non potrà rivelarsi un atto di pace. È follia travestita da nobile principio. San Marino ha già scelto da che parte stare: quella dell’applauso facile. Peccato che, quando la musica finirà e arriverà il conto, a pagarlo non saranno i gli “onorevoli” di 157 stati, fra cui San Marino, ma le prossime vittime innocenti di quel conflitto – palestinesi ed israeliane – che si è contribuito, in Consiglio Grande e Generale, a rendere ancora più irrisolvibile.