DELLA MAREA umana di 660mila profughi – dati
Unhcr aggiornati all’11 novembre – che nel 2015 sono approdati in Grecia dalla Turchia, ben 379mila sono giunti sull’isoletta di Lesvos, appena 10 chilometri di mare dalla Turchia. È una umanità composta per il 56% da siriani, che è stata accolta, rifocillata, fotosegnalata, dotata di un documento provvisorio e inviata verso la terraferma. Ma non c’è solo Lesvos, ci sono anche altre isole del Dodecaneso molto vicine alla costa turca e tra queste, più a sud, c’è Leros. Anche qui sappiamo che i siriani sono oltre il 55%. In pratica, non fanno notizia. E oggi sappiamo senza ombra di dubbio che tra i profughi approdati a Leros c’era anche uno dei terroristi che hanno seminato morte a Parigi.
L’IMPRONTA digitale tratta dai poveri resti di uno dei kamikaze che si è fatto saltare allo Stade de France – la bomba umana vicino alla quale fu trovato il passaporto siriano – corrisponde infatti all’impronta digitale del sedicente (sedicente in quanto il passaporto è, come accade spesso per i profughi siriani, falso) Ahmed Almohammad, fotosegnalato a Leros il 4 ottobre. Ahmed era arrivato sull’isola il giorno prima, dopo una breve navigazione, pare su un barcone carico di 132 migranti. Fu accolto in una albergo trasformato in centro profughi e, dopo i controlli di identità (che hanno mostrato come le sue impronte digitali fossero ignote alla polizia greca, quindi non era entrato altre volte), è stato avviato il 5 ottobre verso il Pireo a bordo un traghetto della Blue Star Ferries. Nessuno sospettava di lui, ed è stato quindi trattato come un migrante normale.
CERTO, molti misteri aleggiano ancora sul suo viaggio. Con lui, almeno per un tratto, c’era – come ha documentato il sito greco Protothema – un altro profugo che risponde al nome (anche in questo caso non sappiamo se falso) di Mohammed Almahmod. Semplice compagno di strada? O compagno di jihad? Nulla può dirlo al momento, ma i greci hanno fornito ai francesi le sue impronte digitali per verificare se non corrispondano a quelle di uno dei kamikaze che ancora non sono stati identificati.
Di certo, una volta al porto del Pireo, Ahmed Almohammad decide di seguire il flusso dei profughi e raggiunge la Macedonia e poi – il 7 ottobre – la frontiera serba di Presevo, dove viene fermato e identificato dalla polizia. Ma non è solo, è in una marea umana, e questa è la sua forza. Circondato da migliaia di profughi, Ahmed prosegue verso nord, verso l’Europa che conta. Le frontiere ungheresi verso la Serbia sono chiuse dal muro, e quindi, come tanti altri, entra in Croazia. Qui la polizia lo blocca, lo identifica ancora, pare che gli faccia anche presentare richiesta di asilo, dopodiché lo sistema nel campo profughi di Opotovac, vicino alla frontiera serba. E lui, docile, si fa controllare perché sa che nulla può emergere, dato che il passaporto è presumibilmente falso e lui non è mai stato in Europa.
È L’8 OTTOBRE. Ahmed resta in Croazia presumibilmente non più di due giorni, dopodiché entra in Slovenia e da qui, si suppone attraverso Sentjur e Maribor, giunge al valico di Spielfeld, dove la polizia austriaca (ma su questo non c’è certezza) lo identifica ancora. Ma comunque ha le carte in regola e passa senza problemi. Ora Ahmed è in Europa centrale e può muoversi a suo piacimento. Da Graz avrà preso un treno verso Innsbruck e da lì ha viaggiato ancora fino a Parigi. Tutto semplice, pulito. Protetto dalla presenza dei profughi, lupo tra gli agnelli, Ahmed attraversa indisturbato l’Europa e compie la sua missione di morte. Il danno fatto ai francesi è tragicamente noto.
Il danno fatto agli altri profughi, i profughi veri, è incalcolabile. «La quasi totalità dei rifugiati – ha sottolineato ieri Matteo Renzi – sta scappando da fame, dittature e quegli stessi terroristi animali che abbiamo visto in azione nelle nostre citta». Solo a ottobre ne sono arrivati in Grecia dalla Turchia 210.265, nuovo record. Grazie ad Ahmed, ora saranno guardati ancor più con sospetto e chi li vuole respingere ora festeggia perché ha avuto quel che voleva. Un terrorista tra i profughi.
Il Corriere della Sera