Parigi. “Lotta all’Isis anche sul terreno”. Svolta in Siria per Usa e Turchia

OBAMA«ABBIAMO un nemico comune: l’esercito islamico. È contro questa minaccia che dobbiamo concentrare i nostri sforzi». Obama ha ribadito ieri a Parigi questo messaggio, rivolto al leader turco Erdogan e al russo Putin. Chiede che tutti manifestino la volontà comune di combattere l’Isis. E non solo dal cielo, con gli attacchi aerei che non potranno mai portare ad un risultato conclusivo del conflitto, ma sul terreno, con l’impiego di uomini e mezzi militari.
Gli Stati Uniti dispiegheranno una nuova forza per operazioni speciali in Iraq: il suo compito sarà effettuare raid, liberare ostaggi, catturare capi dell’esercito islamico, ma anche andare aldilà, effettuando «operazioni unilaterali» in Siria. Lo ha annunciato ieri il capo del Pentagono Ashton Carter davanti alla Commissione servizi armati della Camera: il nuovo gruppo (fino a 50 soldati delle forze speciali americane) andrà ad aggiungersi al dispositivo che gli Usa stanno dislocando in Siria per aiutare i peshmerga curdi e le forze irachene nella lotta contro il nemico jihadista. «Questi uomini – ha detto Carter – hanno il compito di rafforzare la pressione sull’Isis e di catturarne i leader».

ANCHE il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha espresso determinazione nel continuare la lotta contro l’esercito islamico: «Come le forze della coalizione, siamo decisi a combattere sul terreno le forze dell’Isis», ha detto dopo un colloquio con il presidente Obama. «Auspichiamo che le discussioni a Vienna sulla Siria portino a far tirare un respiro di sollievo all’intera regione», ha aggiunto. In piena crisi con Putin dopo l’abbattimento del caccia russo e il successivo attacco dello zar sulle «connivenze» che il governo turco avrebbe con gli islamisti, Ankara ha segnato un punto a proprio favore grazie all’appoggio espresso da Obama: il presidente americano ha riconosciuto che «sono stati fatti dei progressi» per quanto riguarda l’impermeabilità delle frontiere fra Turchia e Siria (ma Erdogan dovrà impegnarsi a tamponare le falle ancora esistenti per evitare che l’Isis ne approfitti per ottenere rinforzi, procurarsi rifornimenti e contrabbandare petrolio per finanziarsi). Ancora più esplicito si è mostrato poi Obama quando ha detto che «la Turchia ha il diritto di difendere la propria integrità territoriale e il proprio spazio arereo. Voglio essere chiaro: è un membro della Nato e ha il diritto di difendersi». Ma a Erdogan ha chiesto una de-escalation della crisi con la Russia.
Obama ha parlato anche con Vladimir Putin: mezz’ora di colloquio su due poltroncine di cuoio sistemate al riparo da orecchie indiscrete. Non ci sono stati grandi risultati: Obama ha detto di non aspettarsi affatto «una svolta a 180 gradi della strategia di Putin sulla Siria. La Russia è impegnata da anni a mantenere Assad al potere. E fino a che Mosca sosterrà il regime di Damasco, molte risorse russe saranno rivolte anche a colpire l’opposizione siriana», che gli Usa vogliono invece portare al tavolo dei negoziati per un governo di unità nazionale. Obama e Putin si sono trovati d’accordo sulla necessità che a Vienna si arrivi ad un cessate il fuoco e ad una soluzione politica della guerra civile in Siria: ma per la Casa Bianca è essenziale che gli sforzi militari si concentrino contro l’Isis e non contro l’opposizione moderata. E per ottenere questo, bisognerà che Assad rinunci al potere e passi la mano a un governo di transizione.

La Stampa