Parole – Referendum…di Pippo Russo (editorialista de Il Riformista)

Qual è la parola della settimana? Senza dubbio alcuno è referendum. Cioè dire sì o no e metterci una croce sopra. O almeno così era qualche tempo fa, ché adesso le cose vanno un po’ diversamente. E si sa com’è: il disimpegno politico, la complessità delle questioni su cui votare, la moka che sbuffa sul fornello e la chat di Facebook a pullulare di finestre. In tali estenuanti condizioni, come pretendere di fare una puntatina al seggio? E allora tutto si riduce a un referendum sul referendum: andare SI’ o andare NO? Quello è il vero test. Perciò da qualche tempo, in Toscana, abbiamo scoperto cosa sia la sublime arte della rinuncia referendaria; uno know how del quale prima o poi costituzionalisti e sondaggisti d’ogni dove avranno da fare un caso di studio. Ché ormai il meccanismo scatta per ogni quesito. E mica quelli relativi al sostituto d’imposta, o agli incarichi extragiudiziali dei magistrati, o altre radicalaglie assortite. Domenica scorsa a Livorno c’era in ballo un ospedale, mica cazzabubbole. Però a votare c’è andato solo 1 su 5. Gli altri quattro sono rimasti a sfogliare la tessera elettorale o a seguire Scrubs in tv. Quello sì che è un ospedale degno d’attenzione. Del resto, la prova definitiva s’era avuta col referendum fiorentino sulla tramvia. Allorché il voto fu diviso fra chi all’opera diceva no e chi fieramente s’attestava sul fronte del “boh?”. Uno psicodramma popolato di nani e ballerine, al termine del quale entrambe le parti dichiararono d’aver vinto benché avessero perso. I contrari all’opera, che vinsero la battaglia del voto senza però raggiungere il quorum. E i favorevoli, che s’aggrapparono al quorum non raggiunto come a una ciambella di sughero per nascondere la sconfitta nel voto. Forse lì s’è capito il senso delle cose. Perché battersi a cercare il consenso referendario su un’opera? Meglio lasciare che il dissenso vada a spiaggiarsi come un capodoglio anziché sfidarlo in mare aperto. E in fondo se l’è cercata, con quella sua pretesa d’essere un NO che si contrapponga a un SI’. L’avevano mica capito, gli illusi, che in questa contemporaneità toscana importa nulla a nessuno di dire un sì, e battersi per qualcosa da fare anziché stare a guardare come va a finire. Meglio fare melina, che in fondo è anch’essa un atto di forza perché si basa sull’altrui insipienza. Roba da democrazie mature. Quelle che un giorno potranno permettersi d’inserire nella scheda referendaria, accanto alle caselle del SI’ e del NO, quella del ‘MAH!’.