Piazza Affari incrementa i rialzi a metà mattinata, con l’indice Ftse Mib che guadagna dell’1,41% a 17.290 punti, facendo meglio delle altre borse europee sottotono (Dax +0,16%, Cac40 +0,31% e Ftse100 +0,01%). In recupero i bancari, ieri i più colpiti dall’incertezza politica dopo la vittoria del no al referendum: Mediobanca segna un +3,57%, Intesa Sanpaolo un +3,23%, Ubi un +2,81% e Unicredit un +3,38%. Continua, invece, a soffrire Mps (-2,46% a 18,22 euro): il cda che oggi doveva lanciare l’aumento di capitale è slittato mentre l’Ad Morelli sarà in Bce per chiedere più tempo.
Sul fronte del mercato obbligazionario, scende ulteriormente lo spread a 158 punti, con il rendimento del Btp decennale che resta sotto il 2% all’1,92%. Già ieri il mercato ha mantenuto un atteggiamento costruttivo nei confronti della carta italiana, nonostante l’esito della consultazione referendaria, che peraltro era già in parte prezzato.
A sostenere i prezzi di tutto l’obbligazionario della zona euro, le aspettative nei confronti della riunione Bce di giovedì che, anche alla luce dell’incertezza politica italiana, dovrebbe procedere senza indugio al prolungamento del quantitative easing di 6-9 mesi. “I rendimenti dell’Eurozona sono destinati a stabilizzarsi nel range di trading visto ieri, con il focus degli investitori che si sposterà dalla vittoria del no al referendum costituzionale italiano al meeting della Bce di giovedì”, prevedono gli analisti di Commerzbank .
Il mercato “si aspetta un’estensione del Qe di 6-9 mesi, eventualmente con un ammontare invariato a 80 miliardi di euro, ma potrebbe essere riportato a 60 miliardi, e qualche modifica alle regole per ridurre l’effetto scarsità come alzare il limite di emissione dall’attuale 33% o eliminare il floor la tasso sui depositi”, sottolinea Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners, osservando che “la piega presa dagli eventi in Italia potrebbe rendere la Bce più accomodante, ma difficilmente si interverrà a favore dei Btp in maniera strutturale”.
Inoltre, tra gli operatori la convinzione diffusa è che l’esito del referendum porterà alla formazione di un esecutivo ad interim che riformi l’Italicum in chiave più proporzionale, disinnescando la possibilità di una vittoria del Movimento Cinque Stelle, un’incognita per i mercati. Tuttavia gli analisti di JP Morgan mettono in guardia dal fatto che la schiacciante vittoria del no al referendum è sfociata “in una sgradita incertezza politica che crea un rischio di esecuzione per il processo di ricapitalizzazione delle banche italiane già pianificato, soprattutto per gli istituti di credito più deboli”.
D’altra parte, gli aumenti di capitale sono di fondamentale importanza per la pulizia dei bilanci delle banche dai non performing loans e l’Italia ne conta circa 200 miliardi di euro, ovvero il 13% del pil domestico. I crediti deteriorati italiani corrispondono a circa il 30% del totale in Europa (700 miliardi di euro) e i Npl “non stanno scendendo in modo significativo in quanto non hanno un prezzo chiaro e la copertura è ancora troppo bassa nella periferia. Quindi, senza ricapitalizzazioni che consentano di ripulire il sistema dai non performing loans le banche probabilmente non vedranno un re-rating”.
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