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(ANSA) – GENOVA, 16 GEN – “Abbiamo materialmente letto i
documenti che, a volte con fatica, ci ha fornito la
concessionaria e abbiamo sottolineato che a nostro avviso
c’erano una serie di incoerenze e insufficienze. Ma la cosa
peggiore era che in qualche modo era dimostrata la criticità in
cui versavano alcuni elementi del ponte”. Lo ha detto Alfredo
Mortellaro, coordinatore della Commissione d’inchiesta del
ministero delle Infrastrutture, sentito oggi per sei ore nel
processo per il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43
vittime).
“Per queste nostre convinzioni – ha continuato l’ingegnere –
ci siamo confrontati con i migliori progettisti di Aspi. Alcuni
hanno concordato con le nostre osservazioni di criticità altri
no. Per quanto riguarda Spea, a nostro avviso, ha fatto un
lavoro insufficiente e poco coerente per quanto riguarda la
valutazione dei difetti. E visto che erano gli estensori del
retrofitting abbiamo ritenuto non fossero coerenti laddove a
fronte di una loro valutazione di criticità non si sono
adoperati a rendere edotte le strutture superiori per prendere
più importanti provvedimenti”.
A inizio udienza (sono 58 le persone imputate tra ex vertici
di Aspi e Spea, dirigenti del Mit e del Provveditorato) hanno
parlato due sopravvissute, Marina Guagliata e la figlia Camilla
Scabini. Quest’ultima, diventata mamma un mese fa, ha detto di
aver dovuto partorire con taglio cesareo “perché per le ferite
riportate al bacino non può reggere un parto naturale”. “Abbiamo
sentito un boato e visto il ponte spezzarsi come un grissino –
ha detto la madre -. Siamo rimaste sotto la strada, sepolte dai
calcinacci. Ho solo abbracciato mia figlia nel tentativo di
proteggerla poi è venuto giù tutto. Lei è rimasta completamente
sepolta io avevo la testa fuori, le tenevo la mano e le mi
diceva che non riusciva a respirare visto che aveva in bocca le
macerie”. (ANSA).
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