• Screenshot
  • Precari e sottoretribuiti, la cultura “non paga”

    (di Francesca Chiri) (ANSA) – ROMA, 18 GEN – Dopo un primo rinforzo nei mesi
    scorsi, arrivano un centinaio di nuove assunzioni di funzionari
    al ministero, ma il settore della cultura, a maggior ragione
    dopo la pandemia, si distingue ancora come uno dei comparti in
    cui il precariato e la sottoretribuzione la fanno ancora da
    padrone.
        Un’indagine nel comparto della cultura condotta
    dall’associazione ‘Mi Riconosci’, che ha intervistato un
    campione di 2526 persone, ha infatti messo in evidenza che le
    paghe nel settore sono ben al di sotto di quello che potrebbe
    essere il salario minimo.
        Che si tratti lavoratore dipendenti o autonomi, la gran parte
    degli addetti nel settore della cultura guadagna spesso meno di
    8 euro l’ora. Tra i lavoratori dipendenti la quota è addirittura
    del 70% (68,93%) mentre tra i free lance, e in genere tra gli
    autonomi, la percentuale di quanti guadagnano questa cifra
    scende al 40,2%. Una buona notizia a metà, perché in questa
    categoria di lavoratori figura anche chi guadagna meno di 4 euro
    l’ora (il 5,7% del campione) e chi (il 13,7%) si vede
    riconosciuta una paga oraria netta tra il 4 e i 6 euro.
        La condizione del lavoro nel settore è in “una situazione
    inaccettabile, prodotta nell’ultimo decennio. Molto altro dovrà
    essere fatto. L’impegno sarà massimo” dice il ministro Gennaro
    Sangiuliano salutando i 113 “rinforzi” che arrivano al
    dicastero, dopo il concorso per 518 funzionari a tempo
    indeterminato: “Queste assunzioni sono un’ulteriore risposta
    alla carenza di organici e alla precarietà del lavoro nel
    settore”.
        Un settore e una condizione soprattutto femminile.
        Dall’indagine, che tra l’altro ha il merito di prevedere anche
    l’indicazione di non binarietà, mostra che la maggior parte dei
    partecipanti è donna. “Sarebbe necessario fare un’analisi, alla
    luce dei dati, sul rapporto tra la precarizzazione e la
    femminilizzazione del lavoro” commentano gli autori della
    ricerca. Quindi donne, per lo più giovani (il 63,57% degli
    intervistati ha tra i 26 e i 39 anni), con un livello di
    istruzione alto: tranne un 10% circa di lavoratori che sono solo
    diplomati, tutti gli altri hanno almeno una laurea, se non un
    master o un dottorato.
        Nel campione i disoccupati sono il 15,50% del totale: per il
    64,6% tale condizione è legata a situazioni lavorative
    difficili, ambienti ostili, salari bassi, mancanza di tutele, di
    prospettive e di stabilità. Tra gli occupati il 68,70% è
    dipendente, il restante è autonomo e lavora con partita IVA o
    prestazione occasionale pagata con ritenuta d’acconto. Il 21,88%
    lavora nella pubblica amministrazione e il 75,47% presso
    privati. E’ alta in ogni caso la quota di quanti hanno più di
    una occupazione: un terzo del campione tra i dipendenti e il
    60,43% degli autonomi ha più di due collaborazioni. Il contratto
    di settore, d’altra parte, è applicato solo nel 6% dei casi.
        Oltre alla ridotta paga oraria netta, è molto basso anche il
    reddito annuale: il 50,37% guadagna meno di 10.000 euro all’anno
    (55,88% tra gli autonomi) e il 72,28% guadagna meno di 15.000
    euro all’anno. Di tutto il campione solo il 13,10% ritiene che
    la sua retribuzione gli sia sufficiente “per vivere
    autonomamente”.
        Infine, last but not least, su un totale di 2487 risposte, il
    39,97% afferma di aver subito mobbing o di essere stata vittima
    di atteggiamenti intimidatori o punitivi. (ANSA).
       


    Fonte originale: Leggi ora la fonte