Profughi da Gaza: l’Italia cura e rimpatria, San Marino “accasa” e stipendia. Il confronto impietoso tra la ragion di Stato e la “fiera” dell’imprudente irrealismo … di Enrico Lazzari

Mentre i sammarinesi sono impegnati a scartare i panettoni e a digerire il Decreto-Legge n.154, come fosse un candito andato a male, basta guardare oltre confine per capire la differenza abissale tra uno Stato serio (con tutti i suoi difetti) e una Repubblica che gioca a fare la piccola ONG con i soldi dei contribuenti.

Parliamo chiaro, senza i filtri ipocriti del politicamente corretto che tanto piacciono ai nostri Segretari di Stato e consiglieri, perennemente in cerca di pacche sulle spalle all’ONU e di like social “rosso-clericali”. L’Italia, il “Belpaese” che spesso prendiamo in giro per la burocrazia, sulla questione palestinese ha dato una lezione di Realpolitik al mondo. Un esempio che a Palazzo Pubblico dovrebbero tutti studiare in ginocchio sui ceci.

Come avrete capito, anche oggi – come qualche giorno fa (leggi qui) – vi parlo della controversa iniziativa governativa di accoglienza di una trentina di profughi palestinesi. Una vicenda dalle sfumature ormai note…

Mentre il Titano ha varato un decreto che – nei fatti – incoraggia, determina una migrazione stanziale, perenne da Gaza alla Repubblica, cosa ha fatto Roma? Ha mandato la Nave Vulcano. Un ospedale galleggiante. Ha mandato aerei militari per prendere bambini feriti e curarli al Bambino Gesù o al Meyer. Punto.
Il messaggio italiano è chirurgico, solidale, cinico e ineccepibile: “C’è un’emergenza? Ti curo. Ti opero. Ti salvo la vita. Ma non ti do le chiavi di casa mia, né tantomeno ti assumo in azienda il giorno dopo”.

In Italia, il richiedente asilo deve aspettare due mesi prima di poter lavorare. Due mesi in cui lo Stato ti controlla, ti scheda, valuta chi sei, da dove vieni e se racconti balle. E i palestinesi arrivati con i corridoi sanitari? Hanno visti per “cure mediche”. Il sottotesto è cristallino: rimaginata la cicatrice, finita l’ospitalità. L’obiettivo è curare il corpo, non trapiantare l’intera esistenza in Puglia o in Padania.

San Marino, invece? Ah, a San Marino si fa i fenomeni… Con il Decreto “Babbo Natale” n.154, si è deciso che l’emergenza si cura col posto fisso. Leggete bene quell’atto governativo, se non vi si sono ancora appannati gli occhiali per la rabbia. A San Marino non ci si limita a curare (che sarebbe doveroso e nobile). No, Si dà il permesso di lavoro immediato. E per concederlo in quattro e quattr’otto di deregolamenta tutto!

L’articolo 4 è un capolavoro di irrazionalità suicida: esenta i nuovi arrivati dalla presentazione dei documenti solitamente richiesti. Al sammarinese o al frontaliero romagnolo chiediamo pure il certificato di sana e robusta costituzione e la fedina penale immacolata fino alla terza generazione; all’ospite che arriva da una zona dove Hamas ha percentuali di gradimento da dittatura bulgara, si dice: “Prego, si accomodi, niente carte, lavori pure subito”.

Capite la differenza? L’Italia gestisce un’emergenza sanitaria. San Marino sta inaugurando un’immigrazione stabile (e crescente nel tempo).

Perché, cari lettori, non prendiamoci in giro: se permetti a una persona di lavorare il giorno dopo il suo arrivo quella persona non sarà mai un profugo di passaggio, ma un nuovo residente, apripista per mamma, papà, nonno, nonna, 5 fratelli, 3 sorelle, relativi consorti, decine di figli, poi suoceri, nipoti e…
Quando un uomo trova lavoro, crea legami, porta la famiglia, mette radici. Pensate davvero che tra un anno, scaduto il permesso “provvisorio” (provvisorio come le tasse “una tantum” italiane, cioè eterno), la Gendarmeria andrà a prenderli in ufficio o in fabbrica per riaccompagnarli a Gaza? Ma fatemi il piacere.

L’Italia ha i servizi segreti, l’AISE, l’AISI, la Digos. Sanno chi entra e chi esce dai corridoi umanitari ufficiali. Eppure, ci vanno con i piedi di piombo. San Marino ha la Gendarmeria che fa lo screening sanitario all’Ospedale e controlla se c’è la disponibilità dell’alloggio. Siamo passati dal controllo passaporti all’agenzia immobiliare.

In pratica, l’approccio italiano dice: “Ti aiuto perché stai morendo, ma casa tua resta là”; mentre  l’approccio sammarinese dice: “Vieni pure, che qui c’è il bengodi, ti pago le bollette, ti trovo il lavoro e chissenefrega se non sappiamo chi sei, basta che facciamo bella figura sui giornali internazionali e becchiamo tanti like rotorici su Facebook”.

È la differenza tra la razionalità di chi deve gestire la sicurezza nazionale e la vanità irrazionale di una classe politica “provinciale” che vuole sentirsi cosmopolita sulla pelle della propria gente. L’Italia costruisce un ospedale da campo. San Marino sta costruendo una colonia permanente sotto la terza torre. E quando i nodi verranno al pettine, quando l’integrazione forzata mostrerà le sue crepe, i governanti saranno troppo occupati a fotografarsi ai convegni sulla pace per accorgersene.

A Roma si cura e si saluta, a San Marino si assume e si ringrazia… Un Paese di geni. O forse, solo di incoscienti.

Enrico Lazzari