Quando il silenzio si spezza (l’editoriale di David Oddone)

Un gesto audace, una scintilla di ribellione in un contesto di rigida repressione. La scena, ripresa in un video divenuto virale, di una giovane donna iraniana che strappa il turbante a un mullah in un aeroporto di Teheran, è qualcosa di più di un semplice episodio di cronaca. È un potente simbolo di una trasformazione sociale in atto. L’azione, apparentemente avulsa dal contesto, si inserisce in un solco di contestazione femminile che ha radici profonde e che, a partire dalla tragica morte di Mahsa Amini nel 2022, ha trovato nuova e vigorosa espressione. L’hijab, o meglio, la sua imposizione, è la concretizzazione di un sistema di controllo e di sottomissione del genere femminile. L’atto di disobbedienza civile, che riecheggia in altre manifestazioni di dissenso come la studentessa che si spoglia in segno di protesta, mette dunque in luce la volontà di emancipazione di una generazione che non intende più sottostare a dogmi e restrizioni. La risposta delle autorità, che tendono a patologizzare il dissenso, etichettando le donne come affette da “problemi psicologici”, rivela una strategia di delegittimazione che non fa altro che alimentare la tensione sociale. Una dinamica che si inscrive in un panorama più ampio di violenza di genere e di persistente patriarcato che affligge purtroppo anche le “civilissime” società occidentali, seppur con manifestazioni differenti. La violenza non è solamente fisica, ma si declina anche in forme simboliche, culturali e istituzionali, che mirano a perpetuare una disparità di potere tra i generi. L’episodio del turbante strappato rappresenta allora una metafora di una lotta per la libertà, l’autodeterminazione e il riconoscimento dei diritti fondamentali delle donne. Un’azione che rompe il silenzio, che smaschera le ipocrisie di un potere che si arroga il diritto di definire i confini della moralità e della “normalità”. Il tentativo di ridurre la protesta a una questione di instabilità mentale, oltre a essere un’offesa alla dignità delle donne, denota una profonda incapacità di comprendere la portata di un cambiamento culturale inarrestabile. Non si tratta di “pazzia”, bensì di consapevolezza, di coraggio, di un’insofferenza che non può più essere ignorata. Ecco perché il gesto della giovane iraniana trascende la dimensione locale per assumere una valenza universale, divenendo l’emblema della resilienza femminile di fronte all’oppressione. Un monito che risuona forte e chiaro: il tempo in cui le donne accettavano passivamente il ruolo subalterno imposto da una società patriarcale è irrimediabilmente tramontato. No, il silenzio non è più d’oro. Ora la parola, e l’azione, sono diventati dirompenti come una tempesta.

David Oddone

(La Serenissima)