Un buco di oltre quattro miliardi potrebbe affondare la Repubblica di San Marino. Anzi, secondo qualcuno lo Stato del Titano – enclave di 61 chilometri quadrati con 31 mila abitanti, e 12 banche – è già tecnicamente in default. «Non hanno nemmeno i soldi per pagare i dipendenti pubblici, devono tenere in piedi un carrozzone burocratico senza poter contare sulle imposte fiscali. Se anche la finanza ora viene a cadere il crac è assicurato», spiega una fonte interpellata da Libero. E la finanza ha cominciato a scricchiolare quando è scoppiata un’ inchiesta giudiziaria che ha decapitato i vertici del maggior contribuente statale: la Cassa di Risparmio di San Marino, controllata interamente da una fondazione pubblica, che genera circa il 20% delle entrate del Titano.
Poteri occulti
Delta è la holding costituita nel 2002 dalla Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino e dalla società di management finanziario Estuari di Bologna. Il 17 agosto 2007 è stata iscritta all’albo dei gruppi bancari da Bankitalia. Il bilancio della società, partecipata per una quota minoritaria (15,95%) anche dalla Sopaf dei fratelli Magnoni, è infatti quello di un big del credito al consumo ma attivo anche in altri settori del parabancario e proprietario dell’istituto romano SediciBanca. Il bubbone scoppia nella primavera di quest’anno: la stessa Vigilanza decide di commissariare Delta dopo che il presidente, l’ amministratore delegato e altri dirigenti vengono arrestati su ordine della Procura di Forlì con accuse di associazione a delinquere, riciclaggio, ostacolo alle attività di vigilanza. Il vertice del gruppo viene azzerato e la società blindata da Draghi. Secondo l’accusa gli indagati esercitavano un controllo non autorizzato sulla gestione di Delta.
I dubbi di Rossi
L’ipotesi della magistratura è che Delta venisse utilizzata dalla Cassa come schermo per operazioni di riciclaggio ed evasione fiscale che transitavano per San Marino. La Vigilanza di Bankitalia, al termine dell’ispezione conclusa a febbraio, rileva «gravi irregolarità nell’amministrazione, gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie». In realtà le anomalie erano state già denunciate nel novembre del 2007 con un esposto a Bankitalia firmato nientemeno che dall’Avvocato Guido Rossi per conto dei Magnoni. L’ex presidente di Consob e Telecom Italia, aveva anche avviato un’altra azione legale presso il Tribunale di Bologna. Il capoluogo emiliano ignora l’esposto. Si muove però la procura di Forlì. L’obiettivo è scoprire se c’è stato un «buco» nell’archivio unico informatico di Bankitalia e anche fare luce su alcune stranezze nell’autorizzazione firmata dall’Uif (l’Unità di informazione finanziaria) che dava il via libera all’iscrizione di Delta nell’albo dei gruppi bancari. I pm hanno infatti il sospetto che l’autorizzazione sia partita prima che il direttorio della Banca d’Italia fosse stato informato. La vicenza si conclude, con una serie di ispezioni, condotte proprio dalla Vigilanza e dall’Uif, che confermano l’irregolarità della posizione di Delta e della Cassa di Risparmio. A fine aprile, Bankitalia revoca le autorizzazioni. E in un comunicato del 5 maggio specifica di avere «presentato ampia collaborazione con la procura di Forlì» e che figura, nell’ambito del procedimento, «quale parte offesa».
Vendere ma a chi?
Mercoledì scorso è stato siglato l’accordo tra Estuari spa e la Cassa di risparmio di San Marino per la cessione di Delta. Estuari, azionista di Delta attraverso Onda, ha dato l’assenso alla concessione alla CariSanMarino di un diritto di opzione per la vendita del 49,9% di Delta Spa. In sostanza CariSanMarino è libera di trattare direttamente per collocare sul mercato la quota di maggioranza a un primario gruppo bancario. Il problema, però, non è vendere ma a chi. La società è considerata una scatola pericolosa che può riservare brutte sorprese. Ergo, di compratori nemmeno l’ombra. Non solo. A monte resta anche un altro nodo da sciogliere attorno al quale rischiano di girare oltre l’inchiesta di Forlì anche quella appena avviata dai pm di Milano. San Marino, tramite la sua banca statale, detiene effettivamente il 49,9% di Delta? O, in realtà, dopo una serie di movimenti avrebbe fatto il salto, conquistando la maggioranza? Se così fosse innanzitutto Delta non sarebbe più un gruppo italiano ma apparterrebbe al Titano. Le conseguenze sarebbero duplici. Per prima cosa sarebbe più difficile trovare una società tricolore di credito al consumo disposta a rilevare Delta. Altra conseguenza, per San Marino sarebbe più complesso far affluire in Delta una parte delle sue sofferenze.
In altre parole, il timore infatti è che il Titano possa usare la vicenda Delta per far riconfluire in territorio italiano una buona fetta del buco. Dimostrando, invece, che Delta è a statuto sanmarinese si chiuderebbero i vasi comunicanti. E nel paradiso (fiscale) del Titano scoppierebbe l’inferno.
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