
Un risultato di compromesso con Pd e Cinque Stelle per compattare la maggioranza? Un tentativo di apertura a chi vorrà sostenere il suo governo per dimostrare collegialità? O forse, addirittura, un punto a favore di Matteo Renzi e un tentativo estremo di riapertura a Italia Viva? Una cosa non esclude l’altra. Ma il fatto che parlando alla Camera Giuseppe Conte abbia esplicitamente dichiarato di voler lasciare la delega ai servizi segreti da lui detenuta da giugno 2018 è politicamente rilevante.
“Viste le nuove sfide e anche gli impegni internazionali, non intendo mantenere la delega all’Agricoltura se non lo stretto necessario e mi avvarrò anche della facoltà di designare un’autorità delegata per l’intelligence di mia fiducia”, ha fatto sapere il presidente del Consiglio parlando davanti all’emiciclo di Montecitorio e garantendo le prime, effettive dichiarazioni ufficiali sulla futura gestione dei servizi segreti in caso di permanenza a Palazzo Chigi.
Una dichiarazione che può essere letta sia come un cedimento che come un’apertura. Cedimento, perchè il premier ha fatto di tutto per separare la gestione del dossier intelligence dall’avvicinamento del governo giallorosso a una fase di acuta crisi, per quanto Matteo Renzi e Italia Viva non avessero mai fatto mancare critiche sul tema e anche il duo Pd-M5S si fosse lamentato a più riprese per il personalismo del premier sul tema. Cedimento, soprattutto, perché il tema dell’intelligence entra di diritto nel percorso di rilancio dell’esecutivo dopo la verifica alle aule e imporrà scelte decise in tempi brevi. Conte non può più permettersi, a cuor leggero, diktat politici come l’assoluta garanzia di nominare per la delega una figura indipendente di estrazione burocratica. E nel paniere del rimpasto o dell’avvicinamento a un Conte-ter può succedere di tutto.
Al contempo, la scelta tattica di parlare del tema, un dossier tra i più spinosi tra quelli incontrati dal governo, segnala la volontà di Conte di allargare il confronto all’intera maggioranza. Portando la questione intelligence all’interno del più ampio discorso sul rimpasto di governo che, in caso di sua permanenza a Palazzo Chigi, coinvolgerà tutte le forze vecchie e nuove che parteciperanno all’azione dell’esecutivo. E dato che la legge del 2007 garantisce a Palazzo Chigi poteri di coordinamento e controllo sull’assegnazione della nomina, che il premier non è obbligato a conferire, la mossa acquisisce valenza politica garantendo al tavolo delle trattative un potere non secondario a Conte, uomo su cui comunque vada ricadrà la scelta definitiva. E considerato che Conte sta giocando una partita complessa per consolidare la sua posizione politica a livello istituzionale, parlamentare e burocratico, è chiaro che aprire il discorso della delega è una scelta migliore degli irrigidimenti delle scorse settimane.
Manovre come il rinnovo delle cariche dei vertici istituzionali dei servizi o il tentativo di inserire in manovra prima e nel Recovery Fund poi il contestato Istituto Italiano di Cybersicurezza hanno aumentato la diffidenza della maggioranza verso Conte, che ha nell’intelligence un terreno d’azione privilegiato, e consigliato al premier una strategia più cauta.
Affari Italiani non esclude che in caso di imbarco della pattuglia di “responsabili” al Senato a sostegno del governo la scelta dell’autorità delegata possa cadere sul prefetto Gennaro Vecchione, direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis), la struttura di coordinamento dei servizi che fa capo a Palazzo Chigi. Un “arrocco” di Conte, che nominerebbe dunque un suo fedelissimo lasciando libera la casella di direttore del Dis per ulteriori negoziazioni politiche più avanzate. Una manovra che ovviamente può aver la sua razionalità solo nel quadro di un governo modificato nella sua struttura e fondato su un programma comune e su finalità ben più lunghe nelle prospettive del claudicante governo Conte II. E che in caso di negoziazioni per il ritorno in maggioranza difficilmente Italia Viva potrebbe accettare. Quel che è certo è che non andandosi a incartare sui servizi segreti Conte è, implicitamente, rimasto in partita. La fase di negoziazioni per il futuro dell’esecutivo o per un nuovo governo non potrà non vederlo protagonista. E se i partiti maggiori del governo continueranno con la loro pochezza nella visione di lungo periodo non è detto che da questa fase di confronto con loro il premier, che ha agganci e entrature istituzionali nei poteri che contano, non finisca per rafforzarsi di fronte ad essi.
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