Nel Consiglio Grande e Generale di questi giorni non è esplosa una polemica qualsiasi. È venuto allo scoperto qualcosa di molto più serio e molto più profondo: una crisi di sistema, che tiene insieme la questione morale sulle banche, la gestione economico-finanziaria del Paese e la tenuta politica della maggioranza. Tre piani che ormai non stanno più separati. Chi prova a raccontarli come compartimenti stagni, semplicemente, non racconta la realtà.
Il detonatore è stato l’intervento di Fabio Righi. Non per il tono, ma per il contenuto. Righi non ha parlato di “si dice”, non ha evocato fantasmi, non ha costruito allusioni. Ha richiamato un fatto preciso, enorme, che molti preferivano tenere ai margini: la vicenda bulgari, quella che ha portato più persone in carcere con arresto cautelare per una presunta mazzetta da un milione di euro. Non un’indagine in fase embrionale, ma un impianto accusatorio ritenuto sufficientemente grave da giustificare la custodia cautelare.
È da lì che nasce tutto.
Ed è da lì che Righi compie il passo che la politica sammarinese, storicamente, ha sempre evitato.
Perché se per una presunta tangente da un milione si finisce in carcere, allora non è più accettabile che la politica continui a rifugiarsi nel “non sappiamo”, nel “c’è il Tribunale”, nel “aspettiamo”. Quando entrano in gioco banche, fondazioni, enti proprietari e consigli di amministrazione, il silenzio non è prudenza istituzionale. È una scelta politica, e anche una scelta pericolosa.
Righi non accusa nessuno in Aula. Ma fa qualcosa di altrettanto dirompente: pretende chiarezza. E per farlo richiama nomi e ruoli, perché la questione morale non vive di concetti astratti ma di catene di comando. In questo contesto ricorda un fatto che non è opinabile: Marco Beccari, padre del Segretario di Stato Luca Beccari, è stato a capo del Consiglio di Amministrazione dell’Ente Cassa di Faetano, proprietaria della Banca di San Marino.
Non è un dettaglio. Non è una suggestione. È un dato politico.
E qui il livello della discussione cambia definitivamente. Perché se si parla di tangenti, se si parla di mazzette da un milione di euro, se si parla di banche finite sotto i riflettori internazionali, non è più tollerabile lasciare zone grigie. Non per una questione giudiziaria, ma per una questione di credibilità del sistema.
Il messaggio che esce dall’intervento di Righi è semplice, brutale, e non ammette scorciatoie: qualcuno deve dire chiaramente che non c’entra nulla. La Democrazia Cristiana, oppure il Segretario di Stato Luca Beccari, oppure Marco Beccari stesso. Ma qualcuno deve dirlo. Pubblicamente. Senza formule ambigue. Senza rifugiarsi dietro il “lasciamo lavorare la magistratura”.
Qui non si chiede una sentenza. Qui si chiede una frase chiara: quelle presunte tangenti non le abbiamo prese, non c’entriamo nulla con la questione morale che investe Banca di San Marino.
Perché quando questa frase non viene pronunciata, il sospetto si autoalimenta. E in un micro-Stato come San Marino, il sospetto non resta mai neutro. Diventa reputazione negativa, diventa sfiducia, diventa danno sistemico.
Tutto questo avviene mentre, sullo sfondo, la maggioranza si sbriciola. La conferenza stampa di Rete non è un episodio isolato, ma la fotografia di un Paese che vede un governo più impegnato a regolare i propri conti interni che quelli dello Stato. Una finanziaria che viene presentata come prudente, ma che nei numeri racconta altro: spesa corrente che cresce, consulenze e marketing nel mirino, debito estero che pesa sempre di più, rollover imminente e interessi raddoppiati. Il tutto senza una visione di sviluppo.
I numeri snocciolati sono impietosi. Crescono i dipendenti pubblici, cresce la spesa sanitaria senza che i servizi migliorino, cresce il costo della macchina statale. Nel frattempo il tema casa esplode, con affitti fuori controllo, una legge inefficace e immobili tenuti fuori dal mercato, spesso in pancia alle banche, mentre lo Stato non applica nemmeno norme già approvate.
Qui la questione morale smette di essere solo bancaria e diventa sociale. Da una parte famiglie che non ce la fanno, dall’altra un sistema che continua a tollerare speculazioni e inerzie.
E poi c’è il quadro politico certificato da Domani – Motus Liberi, che mette nero su bianco ciò che ormai è evidente: la crisi non nasce dall’opposizione, ma dall’interno della maggioranza e del governo. Dichiarazioni incrociate, smentite, accuse di ambiguità, ammissioni di difficoltà operative e di mancanza di una direzione condivisa. Il Consiglio trasformato in un luogo di regolamento di conti interno, mentre all’esterno il Paese paga il prezzo di un danno reputazionale già in atto.
In questo contesto, la questione morale non è un tema tra i tanti. È il filo rosso che lega tutto: banche, bilancio, credibilità internazionale, tenuta della maggioranza. Ed è per questo che l’intervento di Fabio Righi ha fatto così male: perché ha tolto alla politica l’alibi più comodo, quello del silenzio.
Oggi San Marino è davanti a una scelta che non è ideologica, non è giudiziaria, ma politica. Continuare a vivacchiare, come è stato detto apertamente, oppure dire le cose come stanno, chiarire, assumersi responsabilità e prendere atto che questa maggioranza e questo governo, così come sono, non funzionano più.
Perché quando si parla di tangenti da un milione di euro, di arresti cautelari, di banche, non chiarire non è neutralità.
È già una scelta. Ed è quasi sempre la peggiore.
Marco Severini – direttore GiornaleSM












