Gli stipendi dei dirigenti della RAI suscitano scandalo e indignazione. Da lunedì 25 luglio, nell’ambito del progetto “trasparenza” sono state pubblicate sul sito della TV pubblica italiana diverse informazioni interessanti: dai bilanci agli investimenti, fino ad arrivare alle retribuzioni dei manager superiori a 200mila euro, ai compensi dei consulenti e delle collaborazioni non artistiche maggiori di 80mila euro. Fanno eccezione i compensi relativi ai contratti artistici che, al contrario, non vengono dichiarati.
RAI: il caso stipendi
Sono in tutto 94 su 13mila i dipendenti il cui stipendio lordo supera i 200mila euro l’anno.
Gli esempi più eclatanti riguardano la remunerazione del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto (652mila euro), quella della presidente Monica Maggioni (270mila euro), del CFO e presidente Rai Way Raffaele Agrusti (340mila euro), della Direttrice Rai Fiction Eleonora Andreatta (272mila euro) e via dicendo.
Sono tre essenzialmente i motivi alla base della polemica: il primo è che guadagnano uno sproposito, il secondo riguarda il fatto che a percepire cifre così alte non sono solo i dipendenti attualmente alla guida del gruppo, ma anche gli ex dirigenti e giornalisti che, nonostante non siano più impegnati alla RAI, continuano a percepire il loro stipendio d’oro in forza ad un contratto a tempo indeterminato che, in una tv pubblica non dovrebbe essere contemplato: l’ex direttore del Tg1 e del Tg2 Mauro Mazza (340mila euro) ; l’ex direttore generale Lorenza Lei (243mila euro) la giornalista Carmen Lasorella (204.611 euro) e il giornalista Francesco Pionati (203.673 euro).
Il terzo motivo che ha spinto politici, stampa e cittadini a criticare aspramente gli stipendi RAI riguarda il fatto che in base alla legge n.89 del 2014 approvata dal Governo Renzi il tetto massimo per i «compensi degli amministratori con deleghe e alle retribuzioni dei dipendenti delle società controllate delle pubbliche amministrazioni» dovrebbe essere pari a 240mila euro.
La RAI, essendo quasi interamente controllata dal ministero delle Finanze dovrebbe rispettare questa regola. Ovviamente, in base alle cifre pubblicate, non lo fa. Perché? Perché due giorni dopo aver convocato vari dirigenti per dire che i loro stipendi sarebbero stati tagliati per rispettare la nuova normativa, l’azienda ha emesso un prestito obbligazionario quotato per 350 milioni di euro destinato agli investitori istituzionali. Come spiega il Fatto Quotidiano: «tutte le norme che si sono succedute dal governo Monti (2011) in poi in materia di tetti agli stipendi pubblici hanno sempre escluso le aziende controllate dallo stato che emettono titoli di debito quotati». Con una semplice operazione finanziaria dunque i compensi dei vertici sono rimasti intatti, non un euro di meno rispetto a quanto previsto in precedenza.
RAI e BBC a confronto
Guardando oltre i confini nazionali, la RAI in materia di trasparenza ha seguito l’esempio della BBC. Quest’ultima dal 2009, rende noti gli stipendi lordi annui, i rimborsi, i regali, gli inviti ricevuti da ogni dirigente dell’azienda e un’altra serie di informazioni “sensibili”, utili a far capire ai cittadini come vengono spesi i soldi del loro canone.
A questo punto dunque, fare un rapido confronto con la tv pubblica britannica sembra essere d’obbligo.
Tony Hall, direttore generale della BBC, può contare ogni anno su una retribuzione lorda pari a 450mila sterline (circa 537mila euro). Antonio Campo Dall’Orto, direttore Generale, ne guadagna come detto 650mila, più di 110mila in più.
E ancora: James Harding, capo informazione della BBC, stipendio lordo annuo: 340mila sterline (quasi 405mila euro). La RAI non attribuisce queste mansioni ad un singolo, ma ha tre direttori di telegiornali che percepiscono, ognuno, un compenso intorno ai 300mila euro: Mario Orfeo, direttore Tg1, 320mila euro, Marcello Masi, direttore del Tg2, 280mila euro; Biancamaria Berlinguer, direttrice Tg3, 280mila euro. Totale: 880mila euro.
In media, i giornalisti di punta della tv del Regno Unito guadagnano intorno ai 200mila euro, quelli italiani (basta dare un’occhiata alla lista) raggiungono cifre superiori.
Ma andiamo avanti. In base ai numeri contenuti nel bilancio, nel 2015 il gruppo RAI ha speso 976,5 milioni di euro per i costi del personale (13.078 persone). Nello stesso anno: gli introiti derivanti dal canone ammontano a circa 1,6 miliardi di euro. Il che significa non solo che circa il 60% dei soldi richiesti ai cittadini viene utilizzato per pagare gli stipendi dei propri dipendenti, ma che la retribuzione media di ciascun lavoratore è pari a quasi 75mila euro lordi l’anno.
Da sottolineare che rispetto agli anni passati c’è stato un miglioramento. Nel 2012 infatti, il costo del personale era pari a 1.015 milioni di euro per 13.158 lavoratori. Nello stesso anno la BBC ha speso 1.403 milioni di euro per 22.399 lavoratori (oggi sono 18mila), il 40% in più rispetto a quanto speso dalla RAI, ma con oltre 9mila dipendenti in più. Quattro anni fa lo stipendio medio annuo di un dipendente della BBC era pari a 62mila euro. Per l’omologo RAI invece ne servivano 77mila.
RAI: i conti della TV pubblica
Occorre infine evidenziare altri numeri importanti. Sempre nel 2015 la RAI ha chiuso il bilancio con una perdita di circa 25, 6 milioni di euro (nel 2014 erano 180 milioni).
I ricavi esterni sono stati pari a 2,5 miliardi di euro. Come detto prima, il canone porta in cassa circa 1,6 miliardi cui si aggiungono 658 milioni di incassi pubblicitari e quasi 197 milioni di altri ricavi.
I costi operativi, rispetto al 2014, sono scesi del 5,2% a 1.965,6 milioni di euro, grazie soprattutto all’assenza di grandi eventi sportivi (come gli Europei di Calcio o le Olimpiadi per il 2016) il cui impatto nel 2014 è stato pari a 94,6 milioni di euro. La posizione finanziaria netta di Gruppo a fine esercizio è attestata a -362,4 milioni di euro.
International Business Times.com