Ravenna. La vita discreta dell’infermiera accusata di uccidere i pazienti. Schiva, sul lavoro mai una parola

Un mostro, alla stregua di un vero e proprio ‘dottor morte’, o piuttosto la vittima di un clamoroso abbaglio giudiziario? E poi, perché quell’accusa di omicidio volontario, senza alcuna misura cautelare e fra l’altro in mancanza di una sospensione dal lavoro, dal quale ufficialmente risulta assente per ferie? Gli interrogativi che ruotano attorno all’inchiesta sulle morti sospette all’ospedale di Lugo tolgono il sonno ai parenti delle vittime e creano imbarazzo in seno all’Ausl di Ravenna, che ai propri dirigenti e operatori ha imposto un eloquente silenzio stampa. La responsabile sarebbe un’infermiera. Soltanto lei. Poco più che quarantenne, residente in una frazione. 

All’Umberto I lavorava da un paio d’anni, in precedenza era dipendente di una clinica privata, nella quale — racconta una collega — avrebbe avuto alcuni problemi ma di tutt’altro genere. Però niente denunce. Quando era già a Lugo un carabiniere avrebbe svolto una sorta di indagine personale, per questo non collegabile ad atti ufficiali. Per il resto di lei si sa che è separata e ha un carattere non troppo socievole. E che, soprattutto, sul lavoro è riservata e sempre abbottonata. Intanto la Procura sta mettendo al microscopio 38 decessi, avvenuti a partire dal primo gennaio 2014 e tutti in orari in cui la donna era in servizio. Un numero considerevole se si considera che nello stesso periodo i decessi complessivi avvenuti nello stesso reparto di medicina sono stati 59. A dare il via all’inchiesta è stato un esposto dell’Ausl dopo la morte di una paziente di 78 anni, Rosa Calderoni, avvenuta l’8 aprile in seguito a complicazioni cardiache. Ma l’azienda sanitaria aveva già avviato un’indagine su altri due decessi, avvenuti uno il 4 e l’altro il 5 aprile. Perché, tuttavia, l’accusa di omicidio volontario anziché colposo? Il Resto del Carlino