QUANDO in servizio c’era lei, Daniela Poggiali l’infermiera di Lugo arrestata con l’accusa di omicidio pluriaggravato per la morte della 78enne Rosa Calderoni nel reparto di Medicina si moriva di più. Un picco di decessi superiore dell’80% rispetto a quando lei era a casa. I verbali dei carabinieri dicono questo. E anche l’Ausl, ieri, ha ammesso che la segnalazione iniziale derivò da «statistiche anomale», sebbene in origine (a giugno) il direttore generale Andrea Des Dorides usasse queste parole: «Non c’è uno scarto significativo rispetto al dato delle morti verificatesi, nello stesso periodo, quando l’infermiera non era in servizio». Eccoli, i dati. SONO 38 le cartelle cliniche acquisite già ad aprile dai carabinieri di Ravenna. Quelle di tutti i pazienti che, dal primo gennaio 2014, erano morti in quel reparto e in orari in cui al lavoro c’era la Poggiali. Un numero notevole, se lo si confronta con quello dei decessi avvenuti complessivamente negli altri turni: 21. Cioè quasi la metà. Ieri, all’interrogatorio di garanzia, davanti al giudice Rossella Materia lo stesso che nell’ordine di carcerazione la definisce «delinquente per autocompiacimento» e «compiacente di provocare la morte» non solo ha negato ogni addebito, ma si è detta vittima di una macchinazione. Un complotto, creato da persone a cui è invisa. Le stesse, sostiene, che da sempre covano livore nei suoi confronti. Identica tesi la sostenne nell’interrogatorio relativo ai furti di medicinali per i quali fu rilasciata con obbligo di firma. Dai furti, peraltro, partirono i primi provvedimenti disciplinari dell’azienda, poi culminati a luglio nel licenziamento dopo la sconcertante vicenda delle foto choc con i pazienti appena morti, di cui imitava i volti contratti e faceva con le dita il segno V’ di vittoria. NEI CORRIDOI del palazzo di giustizia, accompagnata dai secondini, ieri mattina la Poggiali è parsa rilassata, a tratti sorridente. Una smorfia quasi sarcastica verso i fotografi. Nel corridoio del tribunale l’infermiera ha anche incrociato casualmente un’amica: «Non preoccuparti, non ho fatto niente di quello che mi viene attribuito». E l’Ausl di Ravenna? Ha rotto il silenzio e spiega che sarà parte civile nell’eventuale, assai probabile, processo. Anche «per chiedere, come minimo, i danni di immagine» «Quando abbiamo notato che c’era un’anomalia statistica sul numero di morti in quel reparto spiega Des Dorides abbiamo inizialmente pensato a un errore nella procedura di assistenza dei pazienti». Solo in un secondo momento è stata notata la correlazione tra i turni di servizio dell’infermiera e i decessi. Il 9 aprile l’azienda ha segnalato telefonicamente alla procura il caso. Il Resto del Carlino
