Nel cuore della Romagna, il porto di Ravenna si trova al centro di un dibattito acceso su traffici che potrebbero alimentare conflitti lontani. Lo scorso 30 giugno, una nave carica di esplosivi e munizioni, proveniente dalla Repubblica Ceca e diretta a Haifa, avrebbe fatto scalo nello scalo romagnolo. Secondo l’osservatorio Weapon Watch, quel carico era destinato all’esercito israeliano, nonostante l’Italia abbia ufficialmente sospeso l’invio di armamenti verso Israele dall’ottobre 2023.
Il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Marco Grimaldi, ha presentato un’interrogazione parlamentare per ottenere la pubblicazione dei dati sui materiali bellici in transito. A suo avviso, la sospensione formale resta in vigore, ma carichi come questo sfruttano triangolazioni e deroghe negli scambi tra Stati UE, come disciplinato dall’articolo 10b della legge 185 del 1990, che regola i trasferimenti intraeuropei e non verso Paesi terzi. Grimaldi ha inoltre espresso la convinzione che Benjamin Netanyahu sia un criminale di guerra per crimini contro l’umanità, e che di fronte a quanto accade a Gaza e in Cisgiordania, dove prosegue il massacro di civili, tutti debbano sentirsi responsabili.
Nel frattempo, si è innescato un rimpallo di competenze: il sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, ha sollecitato chiarimenti al Ministero dei Trasporti; Matteo Salvini ha puntato il dito sull’Autorità Portuale, che a sua volta ha rimandato ai controlli dell’Agenzia delle Dogane.
Un caso che solleva interrogativi su come l’Italia gestisca deroghe e transiti, mentre le associazioni umanitarie denunciano che le armi continuano a viaggiare, contribuendo a scenari di violenza che l’opinione pubblica non può ignorare.