Ernesto Carbone, renzianissimo, con il suo hashtag assai sfottente, «Ciaone», sul ‘batti-quorum’ li fa infuriare tutti, in Rete e fuori.
Ma la verità brucia: per gli «anti-Renzi», il referendum è una prova fallita, un buco nell’acqua (del mare…), una rivoluzione mancata. E allora giù insulti, a Carbone: «A ottobre tu e Renzi farete le valigie!» il più gentile, il più elegante. Del resto, il Fronte del Sì sulle trivelle corrisponde al vero Fronte del No del futuro: a Renzi e alla sua riforma, al Pd e al suo governo. Un fronte che definirlo Armata Brancaleone (film del 1966, regista Mario Monicelli, mattatore Vittorio Gasmann, titolo divenuto un’espressione paradigmatica) si fa un torto al (finto) Principe Brancaleone da Norcia e al suo seguito di smandrappati compari.
Chi c’è, infatti, in questo ‘Fronte’, neppur più ‘della Gioventù’, cui nulla importa di trivelle ma solo di «mandare un segnale a Renzi», «sconfiggere Renzi», in un crescendo di parossistica ossessione?
C’è il movimento Cinque Stelle, che a Renzi oggi contende, palmo a palmo, le principali città al voto a giugno, domani, chissà, il Paese.
Grillini smanettoni che, sui social, il referendum l’hanno già vinto, prima ancora di andare a votare, ma a colpi di clic. Solo che coi voti è diverso: «Democrazia diretta», direbbe il caro vecchio Rousseau.
«Io ho votato! Notizie di Renzi?!», esulta, «ore 9», via Twitter, il candidato premier Luigi Di Maio. «Tutti a votare, per l’Italia e la democrazia!» grida Beppe Grillo. Ma l’Italia non ha risposto all’appello e la democrazia s’è astenuta. «Votare è giusto, pochi o tanti», si mantiene più moderato, stavolta, «Dibba», alias Alessandro Di Battista. E Virginia Raggi, assai temuta candidata grillina a Roma, tiene improvvisate lezioni di diritto costituzionale: «Votare è un diritto-dovere, oggi ancor di più». Poi ci sono, certo, i berluscones. Tutti tutti, tranne uno, Silvio Berlusconi: non vota, ma lo dice all’ultimo e li lascia – as usual, ormai – con un palmo di naso, i suoi, poverini.
Forzisti nuovisti che, sui social, ormai s’esaltano assai, tipo Gasparri. E così, è sempre l’alba quando Renato Brunetta, capogruppo di FI alla Camera, Renatino l’infaticabile, l’incontenibile, twitta: «Ho votato per mandare a casa Renzi!». E Guido Bertolaso, candidato a Roma – che non lo vuole nessuno a lui-lui, Bertolaso – dice triste: «Io voto, nonostante tutto». Poi non mancano, ovvio, i leghisti, sempre così impettiti, tronfi, sicuri. Matteo Salvini gonfia il petto: «Ho esercitato il mio diritto, spero lo facciano in tanti». Invece lo fanno in pochi, ma lui è sempre lì, sempre in mezzo, come il mediano (Oriali) di Ligabue.
E al suo fianco c’è e ci sarà sempre Giorgia Meloni, che ha riscoperto «lu mare, lu vientu, lu sole», la maternità, la forza della democrazia.
Diritto di voto che rivendicano non solo i presidenti di Camera (Boldrini) e Senato (Grasso) – che, sorridenti e vestiti casual – si fanno fotografare mentre infilano l’urna nella scheda perché, diamine, loro «sono» le Istituzioni, ma pure gli ex premier giudiziosi alla Letta, Prodi, etc. (Monti era via?) o i mancati premier, alla Bersani.
Infine, ci sono «loro», la sinistra. Variamente intesa: quella interna al Pd («Speranza ha votato a Potenza!» recita l’ufficio stampa, e non si capisce se è un auspicio, o una cantilena). Quella esterna al Pd, un po’ triste, un po’ cupa, di Fassina («Forza Roma, forza Lupi, so’ finiti i tempi cupi…»). Quella ‘sempe incazzate ma po’ pe’ chi’ (citazione di Pino Daniele) di Fratoianni, De Magistris, Ingroia, Ferrero, etc. etc. etc. E, soprattutto, quella di Michele Emiliano. Il governatore pugliese c’ha creduto, c’ha sperato, di prendere due piccioni con una fava: vincere il referendum del fronte «No-Triv», che ha capeggiato con coraggio, e appunto mandare a casa Renzi, di cui si proponeva (e propone, nel Pd oggi, al governo domani) come l’alter ego: roccioso, pugliese, rotondo, barbuto, tonante. E, invece, niente: lui e tutta la sinistra radical chic, solo radical o liberal, dovranno aspettare ancora un giro. Stavolta, Renzi ‘non’ va a casa. E, nel frattempo, ecco, riemergere i ‘cacadubbi’ della sinistra «vera». Norma Rangeri, direttora del manifesto, da ieri si chiede: «Ma ‘noi’, co’ Lega e M5S, che c’entriamo?». Contraddizioni in seno al popolo, alla novella Armata Brancaleone. Il Messaggero.